Dopo i lunghi mesi di silenzio, la Fondation Cartier-Bresson e il Musée Carnavalet inaugurano la stagione estiva con due mostre che esplorano i mille volti di Parigi. Nella prima, Eugène Atget “vede” e ferma nel tempo la città di fine XIX° – inizio XX°, nella seconda, Henri Cartier-Bresson la “rivede” a partire dagli anni ’30 e per tutto il corso del XX° secolo.
Sebbene non si siano mai incontrati, diversi elementi accomunano vita e opera di Eugène Atget (Libourne, 1857 – Paris, 1927) e Henri Cartier-Bresson (Chanteloup-en-Brie, 1908 – L’Isle-sur-la- Sorgue, 2004). Entrambi decisero infatti di abbandonare le loro carriere, il primo quella di attore, il secondo quella di pittore, per dedicarsi a un’arte nuova e allora poco esplorata: la fotografia. In secondo luogo, i due autori legarono la propria vicenda umana e professionale a Parigi, dove raccolsero quelle immagini che ancora oggi trasudano il fascino di una metropoli che cambia alla velocità della luce, che attrae e respinge, che suscita una costante lotta tra amore e odio (tra cui sembra sempre trionfare il primo). Entrambi, inoltre, furono scoperti dagli americani prima rientrare con fierezza in patria e vedersi riconosciuto il titolo di maestri assoluti della fotografia francese.
Niente di meglio, per celebrare la rinascita della capitale dopo i lunghi mesi di confinamento, di una doppia-esposizione eccezionale che volge lo sguardo alla Parigi di settanta, novanta e oltre cent’anni fa. La prima, Voir Paris, in partenza il 3 giugno alla Fondation Cartier-Bresson, presenta circa 150 stampe originali di Eugène Atget, di cui un terzo mai esposte prima d’ora. La seconda, Revoir Paris, in scena presso il Musée Carnavalet a partire dal 15 giugno, volge lo sguardo all’opera “parigina” del noto autore Magnum Henri Cartier-Bresson. Come raramente accade, le rispettive curatrici, Anne de Mondenard e Agnès Sire, hanno lavorato fianco a fianco per due anni, scavando negli archivi delle due istituzioni per portare alla luce gli immensi tesori esposti.
Diversi sono invece i contrasti tra l’opera dei due autori. In primo luogo, Eugène Atget percorreva le vie della città vecchia caricandosi in spalla un’attrezzatura scomoda e pesante, che indirizzò la sua pratica verso il documentario, con lunghi tempi di posa e immagini statiche. Nonostante le sue fotografie fossero spesso scattate per essere vendute a musei, pittori o biblioteche, ne trapela un puro e sincero piacere del guardare, nell’osservare e nel fissare nel tempo momenti e scenari irripetibili: un approccio diretto ma impregnato di profonda poesia. Non a caso, egli suscitò un’importante fascinazione su diversi fotografi che lo succedettero, prima su tutti Berenice Abbott, il cui ritratto ad Atget apre l’esposizione, e che di lui disse “Sempre più curvo sotto il peso terribile della sua macchina fotografica, i suoi lineamenti diventano sempre più simili a quelli di un attore stanco che ho avuto l’onore di fotografare poco tempo prima della sua morte. Morì nell’agosto del 1927. Con, mi sembra, il sentimento di aver portato a termine la sua missione”.
Scatto dopo scatto, la mostra si dipana per le sale della fondazione guidata dal puro piacere degli occhi e dalle piccole ossessioni del fotografo; dagli angoli delle strade alle vie anguste, dai cortili interni dei palazzi alle maniglie dei portoni, passando per un lungo lavoro sulla luce. In queste immagini, Parigi assume le sembianze di un grande paese, un côté che oggi è raro ritrovare. Sebbene prediligesse gli spostamenti all’alba, Atget non passava certo inosservato quando percorreva le strade con il suo grosso banco ottico sulle spalle e preparava con pazienza uno scatto; in tanti lo notavano, guardandolo con stupore, ma solo l’osservatore attento sa mettere a fuoco quei piccoli fantasmi, figure indefinite di passaggio che si fondono con la scenografia. Al contrario, era proprio dall’uomo ad essere attirato Cartier-Bresson, incarnazione del perfetto flâneur, che girava a qualsiasi ora del giorno immortalando gli infiniti incontri casuali per le vie della città.
A legarli concretamente, scandendo la cronologia tra le due opere, è un quadro di piccole dimensioni dipinto da Cartier-Bresson a Montmartre, nel momento in cui non immaginava che sarebbe diventato un fotografo. La medesima inquadratura, stesso soggetto e stesso taglio, è scattata, più o meno nello stesso momento, da un Atget che va verso la conclusione della sua carriera.
Qualche decennio più tardi, Parigi è catturata da Cartier-Bresson in una mostra che rivista la grande esposizione del 1984, rivelando opere fino ad oggi ancora mai esposte. Dopo quattro anni di chiusura per lavori, con Revoir Paris il Musée Carnavalet rivisita i legami tra Cartier-Bresson e la città in cui ha sembra abitato, stimolandolo ripetutamente nella sua pratica. Per il fotografo, la ville lumière era una metropoli inesauribile; egli posò lo sguardo sui suoi abitanti e sui grandi eventi che ne segnarono la storia, dalla Liberazione nell’agosto del ’44 al maggio ’68. La sua Leica sempre al collo, Cartier-Bresson raccolse fotografie spontanee ma anche reportage e ordini per la stampa internazionale (di cui però conservò solo poche testimonianze nei suoi libri). Ad affascinare l’artista furono in particolare i quais della Senna e la Parigi dei margini: la mostra presenta stampe originali, tra cui una trentina inedite, tratte dalla collezione del museo a dalla fondazione Cartier-Bresson.