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Indisciplina + Caterina Ruysch Voltolini

Caterina Ruysch Voltolini, Balbuziendo Caterina Ruysch Voltolini, Balbuziendo
Caterina Ruysch Voltolini, Balbuziendo
Caterina Ruysch Voltolini, Balbuziendo

Caterina Ruysch Voltolini (1985). Diplomatasi all’Accademia di Belle Arti di Bologna, si laurea in Scienze Filosofiche per poi completare i propri studi presso la University of Arts di Londra (MA Fine Art). Vive e lavora a Milano.

Com’è nato e si è sviluppato il rapporto con l’arte visiva durante e dopo la Laurea Magistrale in Scienze Filosofiche? Come gli studi critici-teorici-sistematici della filosofia hanno influito sul tuo pensiero e pratica artistica?

Focalizzarmi sugli studi filosofici è stata una necessità che avevo da tempo. Non provenendo da un liceo artistico, mi sono sempre posta l’interrogativo circa la mia legittimità a creare. La laurea in filosofia ha sancito l’inizio di un percorso di liberazione che, probabilmente, non si concluderà mai. Addentrami con un approccio critico-analitico in questioni riguardanti lo statuto ontologico dell’Arte (cos’è l’Arte? Cosa l’opera d’arte? E l’artista?) mi ha sollevato da una responsabilità che il presunto artista, in quanto tale, non dovrebbe avere. Il Master in Fine Art a Londra voleva essere una coniugazione tra due percorsi e due parti di me.

Caterina Ruysch Voltolini, Ad (in)finitum
Caterina Ruysch Voltolini, Ad (in)finitum

Come inserisci la ricerca nel tuo lavoro, come la intendi, come la sviluppi? Quanto è importante la lente data dai tuoi studi, attraverso cui leggi l’arte?

Lo studio è sempre stato costante, accademico o no. La ricerca è fondamentale, sia essa programmata e intenzionale, o più accidentale. Non può essere completamente predeterminata. È un flusso tra due elementi che si compenetrano. Un essere vivo: vi si danza insieme, guidandola e lasciandosi guidare.

L’essere umano che non accetta i propri limiti, la rappresentazione dell’autodistruzione che l’uomo attua su sé stesso e le possibili variazioni che questa comporta. Nelle tue composizioni troviamo una dimensione senza tempo, senza regole fisiche attive – costruisci prospettive esistenziali e architettoniche che sembrano contrarsi e andare d’accordo nello stesso tempo. Questo è un possibile, breve riassunto, del tuo lavoro artistico; tu come lo racconteresti?

Credo sia una presentazione adeguata, in cui compaiono alcuni termini focali della mia ricerca – a partire da “autodistruzione”. Trovo sempre difficile e inappropriato descrivere il mio lavoro che, indubbiamente, si pone su un piano esistenziale e pertanto atemporale. Il fatto che tu colga un accordo tra le controparti individuate potrebbe essere determinato da una sorta di armonia che si crea nel lavoro che è, prima di tutto, me stessa.

Caterina Ruysch Voltolini, Latenze_2
Caterina Ruysch Voltolini, Latenze

Quanto è importante la commistione di linguaggi nel tuo lavoro?

Totale. Mi lascio suggestionare e influenzare da tutto ciò che attira la mia attenzione, sia esso un testo o una sfumatura di luce. Vivo in modo sinestetico, ma sono un filtro: quello che assorbo lo rendo mio, sempre.

Davanti ai tuoi lavori si tende a porsi una serie di interrogativi esistenziali che spesso lasciano il magone, un amaro in bocca; credo il tuo lavoro voglia incoraggiare la parte più critica del pubblico. I tuoi lavori devono essere completati dalle capacità intellettuali, tu rilasci uno stimolo, così rendi partecipe chi ne fruisce. Questa è la mia visione, invece tu, cosa vorresti che il fruitore percepisse?

Vorrei percepisse una forza centripeta intrinseca nel lavoro – mi auguro ci sia. Credo che un’opera, per essere riuscita, debba avere un polo gravitazionale che inneschi un coinvolgimento attivo del fruitore; mi piace vederla come qualcosa che attrae, si insinua dentro, si sedimenta e crea un continuo senso di sospensione. Insomma, un cancro\tumore. In molti parlano di senso di angoscia e inquietudine, quando incontrano il mio lavoro.

Caterina Ruysch Voltolini, Latenze
Caterina Ruysch Voltolini, Latenze

Se arte contemporanea significa abbandono delle τέχνη (téchne), il termine non è più sufficiente perché oggi la maggior parte degli artisti non abbandona la tecnica, non l’ha mai conosciuta. Nel tuo caso, la conosci e la applichi, ma non la poni come limite, ti dedichi a scultura e composizioni. Ti chiedo, ti senti inclusa in questo termine?

Io pongo la libertà quale elemento fondativo ed essenziale dell’essere artista. Possedere la tecnica consente di strumentalizzarla a proprio piacimento. Non averla significa non poter realizzare ciò che si vorrebbe. Picasso era indubbiamente un genio, il cui talento ha assoggettato la tecnica alla propria libertà creativa. I non liberi non sono artisti – ciò non significa che basti essere liberi per essere artisti. Tuttavia, il talento abbinato alla tecnica rischia di diventare un limite. Ma essere liberi implica un’enorme assunzione di responsabilità. Il discorso sulla tecnica è abbastanza articolato e complesso perché si interseca con il concetto di talento. In arte la sola tecnica, si sa, è sterile. Il talento creativo deve potersi estrinsecare, e per poterlo fare deve poter soggiogare e assoggettare la tecnica a proprio piacimento. La tecnica è uno dei tanti strumenti di cui si avvale l’artista per potersi esprimere. Non va abbandonata o incoronata, ma soggiogata, strumentalizzata. Il principio fondante dell’artista è la libertà.

Questo contenuto è stato realizzato da Manuela Piccolo per Forme Uniche.

https://www.instagram.com/cati__ruysch/

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