Abbiamo visitato la mostra “La Forma del Tempo” al Museo Poldi Pezzoli di Milano assieme alla curatrice, Lavinia Galli. La mostra è un percorso attraverso tutte le declinazioni iconografiche del Tempo (che svela la Verità, che sfugge, che cura le ferite di Amore, che insegna ad essere prudenti, che può essere ciclico…), assieme ad una spiegazione dell’evoluzione degli orologi dal punto di vista della tecnologia, con un focus sugli orologi “notturni” e i “notturni a proiezione”. Si può visitare fino al 27 settembre 2021.
Come nasce l’idea di questa mostra?
Abbiamo creato la mostra pensando a due tipi di pubblico: il primo, gli appassionati di storia dell’orologeria, il secondo, il classico frequentatore del Poldi Pezzoli, amante dell’arte che apprezza questi oggetti solo come se fossero dei gioielli. Abbiamo cercato di unire le due cose e di far capire anche a un pubblico più generico qual è la particolarità di questi oggetti, perché anche chi è digiuno di tecnologia possa apprezzare anche gli aspetti tecnologici di questo progetto. Da qui è nata l’idea di fare una mostra sul tempo che potesse parlare contemporaneamente agli amanti dell’arte e agli amanti della tecnologia, dell’orologeria. In più, proprio tra il 2016 e il 2017 quando ha aperto la Sala degli Orologi della collezione permanente, mi sono riavvicinata a un gruppo che si chiama Hora, la Associazione Italiana Cultori di Orologeria Antica, che sono sia studiosi che collezionisti, appunto, di orologeria italiana. È con loro che è nato il progetto di valorizzare gli orologi notturni, perché sono una eccellenza tecnologica italiana ma al contempo sono dei meravigliosi oggetti di arte barocca. Ci sembrava perfetto anche perché noi ne abbiamo due in collezione, e siccome la Dottoressa Zanni, direttrice del museo, ama sempre fare delle mostre che partono dalla valorizzazione di oggetti del Poldi Pezzoli (infatti la copertina del catalogo e delle locandine è l’orologio di Callin, che è nostro), abbiamo deciso di partire da lì.
Ho pensato ad una mostra che raccontasse la più che millenaria storia di come l’uomo ha cercato di dare forma, personificazione, al Tempo, dalla Antica Grecia fino al Barocco. Per poi raccontare per sommi capi l’evoluzione tecnologica per far capire perché sono così eccezionali gli orologi notturni.
Potrebbe spiegarci brevemente questo Callin a cui ha fatto riferimento, quello delle locandine e del catalogo?
È un orologio con carillon di Giovanni Pietro Callin, da cui prende il nome. È decorato da Giovanni Battista Gaulli, detto il Baciccio. Ha sul fronte la Verità svelata dal Tempo (Il Tempo svela la Verità e mette in fuga la Menzogna), che è la allegoria del Tempo più famosa nell’epoca barocca, che viene sviluppata Roma nell’ambiente cardinalizio della prima metà del Seicento (e poi ha particolare fortuna).
Quindi il Callin si avvicina alla categoria di “orologio notturno”. Potrebbe spiegarci cosa sono esattamente, cosa hanno di particolare?
Sono orologi a pendolo, ma li chiamiamo “notturni” perché mettendo una luce all’interno della cassa e creando degli indici traforati (che il Callin non ha), possiamo leggere l’ora al buio, dal letto. Poi hanno uno scappamento silenzioso, non si sente più quel fastidioso “tic tac” dell’incastrarsi dei denti delle due ruote. Questo grazie a un sistema speciale che si può comparare, per noi profani, a quello delle ruote di un treno, si chiama meccanismo biella-manovella. Il moto oscillatorio del pendolo viene trasformato in un moto continuo.
Vediamo che gli orologi notturni sono importantissimi a livello meccanico. Ma anche a livello storico-artistico, le decorazioni sono sorprendenti. Perché sono dipinti?
Non ci sono lancette. Scompaiono, l’indice è semplicemente la cifra traforata che “sorge” con la rotazione di un disco. Quindi c’è tutto lo spazio che si vuole per poterlo dipingere. L’idea geniale dei Campani, maestri orologiai attivi a Roma in epoca barocca, è quella di entrare in collaborazione con grandissimi artisti. Sono orologi che costano una fortuna, per cardinali e papi, che scelgono il pittore, il soggetto…
Quindi avete fatto un grande lavoro di ricerca sulla iconografia, sulla decorazione degli orologi. Ma non è l’unico filo conduttore della mostra. Qual è il criterio di organizzazione delle opere?
Ci abbiamo pensato molto, anche con il Comitato Scientifico, siamo tre storici dell’arte, due storici della scienza e uno storico della letteratura. Alla fine abbiamo deciso di dividere, per non fare troppa confusione, e di creare una sala sull’evoluzione tecnologica (prima sala), una seconda sala sul percorso iconografico del Tempo dalle origini fino al Cinquecento, e poi nella terza sala, che è il cuore della mostra, la parte tecnologica e quella delle allegorie si fondono in un unico oggetto: gli orologi notturni. E poi la quarta sala, in cui sono esposti i notturni a proiezione. Poi ci sono dei rimandi fra la prima, la seconda e la terza sala. Abbiamo comunque conservato la sala degli orologi della collezione permanente del museo, mancano solo tre pezzi che sono stati “trasferiti” per questa mostra.
Ma vediamo che anche altri oggetti delle collezioni del Museo sono stati spostati, anche dipinti. Quanti pezzi del Poldi Pezzoli sono in mostra?
Si, su 32 pezzi, cinque sono del Poldi Pezzoli.
E da dove arrivano gli altri, quelli in prestito?
Ce ne sono diciotto che arrivano da collezioni private, quasi tutte legate alla associazione Hora. Il resto, da musei italiani e nel caso della Allegoria della Prudenza del Tiziano, dalla National Gallery di Londra.
Qual è il pezzo più importante a livello meccanico, dal punto di vista dell’orologeria?
Il più importante a livello meccanico, perché unico al mondo, è lo “Svegliatore Monastico”. È “il padre” di tutti gli orologi. Prima di questo non c’è niente di così antico, così ìntegro. È a partire da questo pezzo che si sviluppa tutta la storia dell’orologeria occidentale. Non è che sia in sé una bellezza stravolgente, abbiamo altri pezzi che esteticamente sono molto più coinvolgenti di questo, però dal punto di vista storico e meccanico è indubbiamente il più importante. Non è proprio un orologio, in quanto svegliatore ha una funzione diversa, quella, appunto di svegliare i monaci che stanno dormendo per la preghiera notturna.
Quindi non segna l’ora, si può solo fissare il momento in cui uno vuole (voleva!) essere svegliato. Ma funziona ancora?
Si, funziona ancora, anzi, funzionerebbe, se non fosse che sono stati persi i pesi. Lo svegliatole funziona attraverso una forza motrice, la caduta di un peso che fa muovere il meccanismo. Qua c’è ancora la barra di sostegno ma i pesi in sé sono andati perduti. Rimane però la cosa più importante, un pezzo chiamato foliot o “scappamento a verga”, che è l’organo regolatore su cui si basano tutti gli orologi fino a quando non viene sostituito dal pendolo. Però è estremamente irregolare. È Galileo a scoprire, ad avere l’idea del pendolo, che regolarizza il moto del foliot; così si risolve il problema della precisione.
E invece, qual è il pezzo più importante dal punto di vista storico-artistico?
Indubbiamente l’Allegoria del Tempo e della Prudenza di Tiziano, che ho appena menzionato. È un dipinto davvero eccezionale, molto criptico, ma che ha un fascino incredibile.
Ora che parliamo di un quadro che si trova nella seconda sala, dedicata alla iconografia del Tempo (alla Forma del Tempo..), potrebbe spiegarcela?
Abbiamo esposto volutamente oggetti estremamente distanti da loro, dal punto di vista cronologico, per sottolineare il fatto che è una iconografia vecchissima che si sviluppa in mille modi. Si potrebbe fare una mostra solo su questo. L’abbiamo incrociata con la letteratura, abbiamo scritto qualche citazione letteraria, in modo da abbinarle l’immagine. Partiamo da una rappresentazione del Carpe Diem, su una lastra di marmo, un uomo con le ali, una bilancia, un rasoio e calvo nella nuca (perché il momento giusto lo dobbiamo afferrare quando ce l’abbiamo davanti), che corrisponde alla figura di Kairos, allegoria, appunto, del momento opportuno. Lo inventa Lisippo, addirittura prima di Cristo, poi viene ripresa dai romani, poi durante il Rinascimento. Scompare invece nel Medioevo, in cui rimane in voga un concetto circolare del Tempo (infatti abbiamo esposto esempi dei Libri d’Ore, i calendari con le attività agricole del mese, i segni zodiacali…cose che si ripetono in maniera ciclica). Poi abbiamo voluto anche passare da Petrarca, molto significativo. Si cristallizza con lui l’idea che abbiamo di Padre Tempo, come uomo vecchio.
Abbiamo anche esposto una delle cinque allegorie di Andrea Previtali, viene dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia. È molto criptica, come tutte le cose fatte a Venezia in quel periodo. Si può collegare a Kairos; è una arpia, è diventata una donna, sempre alata, bendata come la Dea Fortuna, in bilico, sospesa fra due sfere nell’aria; di nuovo il concetto della fugacità del tempo, dell’essere sospesi nel momento. Potrebbe però essere Nemesis, non lo sappiamo.
A confronto abbiamo messo il nostro Previtali, quello del Poldi Pezzoli, ritratto rinascimentale, che sul retro a testa in giù ha un motto con il teschio (un “ricordati che col Tempo scomparirai e di te rimarrà solo questo”, stessa idea del Tempo distruttore di tutto di Petrarca).
Torniamo ora all’ultima opera della sala, il Tiziano. Prima ha menzionato che è molto criptico. Come lo spiegherebbe lei?
Innanzitutto, l’iconografia è quella delle Tre Età dell’Uomo, che è qualcosa di veramente nuovo, di rinascimentale che i latini o i greci non avevano mai concepiti. La vecchiaia si inserisci con un valore che non è più negativo, come per Petrarca, ma positivo, perché porta anche saggezza e prudenza; per quello il quadro viene chiamato sia Allegoria delle Tre Età dell’Uomo che Allegoria della prudenza. Infatti il dipinto è stato oggetto di un saggio di Erwin Panofsky, “Father Time” (l’idea di questa parte della mostra mi è venuta dopo averlo letto). La frase in latino del quadro (EX PRAETERITO / PRAESENS PRVDENTER AGIT / NI FVTVRA(M) ACTIONE(M) DETVRPET) si può tradurre come: “il presente, partendo dal passato, agisce prudentemente, per non pentirsi nel futuro”. La scritta ex praeterito, cioè, il passato, è sopra l’uomo più vecchio. Invece praesens prudenter, sopra l’uomo maturo, e il futuro è incarnato dalla giovinezza, dal ragazzo che guarda verso destra. Anche l’orientamento può apparire controintuitivo, perché non leggiamo da sinistra verso destra, ma invece è coerente con la frase, è la traduzione in immagini.
È curioso come l’uomo maturo non guardi di fronte, ma di lato.
Sì, è come se avesse una luce che giunge dalla sua sinistra e la stesse guardando. Su questo si è ragionato e si è pensato che ci dovesse essere una collocazione particolare del quadro. Cioè, Tiziano ha pensato a dove dovesse essere collocato per poter fare uno studio della luce e dello sguardo. Ma a noi adesso sfugge cosa stia guardando esattamente l’uomo. Anche sugli animali si ha scritto tanto.
E invece, tornando agli orologi e alla collezione del Museo; i pezzi sono orologi che compra Gian Giacomo Poldi Pezzoli, erano già nella collezione del padre, o arrivano dopo…?
Ce ne sono dieci importanti che compra lui, tra cui la famosa Diana Cacciatrice che è anche un automa. Poi nel 1973 Bruno Falck regala al Museo 129 orologi, tanto che la Dottoressa Mottola Molfino, che era la direttrice ai tempi, acquisisce un nuovo spazio (che è la Sala Orologi), e Falck paga la ristrutturazione e l’allestimento, perché altrimenti non ci sarebbe stato spazio fisico per esporli. Poi questo ha dato seguito e slancio ad altre donazioni; nel 1978 gli orologi solari di Piero Portaluppi, un centinaio, e la più grossa sicuramente nel 2017, la Collezione Luigi delle Piane, più altre piccole donazioni. Adesso abbiamo circa 500 pezzi.
Ma sappiamo perché Gian Giacomo compra quei primi dieci pezzi? Per la sua passione per le arti e le arti decorative, o perché era particolarmente interessato agli orologi (come nel caso delle armi)?
Non riusciamo a dirlo, non ci sono tracce evidenti, ma sicuramente, come tutti gli acquisti di Gian Giacomo, compra sempre pezzi molto importanti. C’è uno svegliarino che è uno dei primi orologi meccanici da tavolo (è del primo terzo del Cinquecento), la Diana è altrettanto importante. Forse semplicemente aveva dei buoni suggeritori in un momento in cui quasi a nessuno interessava, era una passione solo dei tedeschi.
Allora forse era solo passione per il collezionismo, in generale: gioielli, armi, vetri, porcellane, dipinti…e orologi. Era un esteta, era amante della bellezza, no?
Sì, assolutamente, prende delle cose estremamente decorate, in cui la cassa è dipinta con degli smalti in maniera significativa, ha sempre questa attenzione estetica.
Per pura curiosità, dove li teneva? In che sala?
Nello Studiolo Dantesco! Tranne la Diana, che la teneva nella Sala Nera, sopra il caminetto.
Infatti, è facile immaginarla nella Sala Nera. Passiamo però alla terza sala della mostra, quella dei notturni…è stato difficile allestirli, tanti pezzi, così diversi…?
Assolutamente, siamo orgogliosi e contenti anche dell’allestimento, che è di Migliore+Servetto. Non era facile esporre tutti questi oggetti e loro hanno avuto l’idea di fare un emiciclo, e mettere al centro il protagonista della storia: Alessandro VII Chigi; gli orologi notturni nascono per soddisfare una sua richiesta. Diventa Pontefice nel 1655. Sappiamo che non riusciva a dormire, soffriva di insonnia e chiede ai suoi orologiai papali di palazzo, i Fratelli Campani, se per favore gli costruiscono un orologio visibile al buio e che non faccia rumore. Alessandro VII è il mecenate di Bernini. Il ritratto, il busto esposto è fatto da Bernini appena Chigi sale al soglio pontificio; è stato molto difficile averlo perché è in collezione privata ed è stato scoperto soltanto una decina di anni fa, ha girato molto poco in mostra. È bellissimo il trattamento del marmo, lui rende la seta del vestito in maniera lucida e la pelle in maniera opaca, e si vede anche la personalità, l’intelligenza di questo Papa, che è anche quello che chiede a Bernini di fare il Porticato di San Pietro (fatto anche negli stessi anni degli orologi notturni); per quello si è pensato all’emiciclo. Chigi è un grande mecenate non solo delle arti, ma anche delle scienze. Gli orologi dei Fratelli Campani sono stati realizzati a Roma e hanno sul fronte le Allegorie del Tempo, quindi possiamo continuare il discorso della seconda sala, anche se Panofsky, nel suo saggio, si ferma al 1500. L’indagine sulle allegorie barocche l’abbiamo affidata a Claudia Cieri Via, docente di iconografia e iconologia alla Sapienza.
Lei parla delle Allegorie del Tempo, ma perché c’è esposto un orologio con una rappresentazione dell’episodio di Cristo e la Samaritana?
I quadranti degli orologi sono o Allegorie del Tempo o soggetti sacri. Abbiamo esposto l’orologio con il Cristo e la Samaritana perché abbiamo in mostra anche il disegno preparatorio per il notturno, che ci serve per far capre al pubblico che il processo creativo di questi oggetti prevedeva proprio uno studio ad hoc, una presentazione al committente della proposta di quadrante che poi veniva realizzata dall’artista. In questo caso è Ciro Ferri, che lavora insieme a Carlo Maratta (infatti è una invenzione marattesca che Ferri ripropone in piccolo).
In generale siamo anche riusciti a capire di chi fossero: uno degli orologi piccoli era di Leopoldo de’ Medici (i Medici sono grandi collezionisti di orologi notturni…). Un altro invece era del Cardinal Nepote, Flavio Chigi (tutti i Papi si portano il proprio “nipote”…). Nel suo guardaroba era indicato un notturno col quadrante fatto da Francesco Trevisani nel 1683 con il Sogno di Giacobbe. Anche qui l’iconografia non è più legata alla allegoria del tempo ma piuttosto al sogno e alla notte. Quando è illuminato è fantastico. Faremo delle visite notturne per poter offrire al pubblico la possibilità di vedere gli orologi illuminati al buio.
A parte la manifattura romana dei Campani, in che altri posti venivano fatti i notturni?
Quelli degli orologiai concorrenti venivano fatti a Genova, Firenze e Bologna. Visto il successo incredibile dei pezzi di Roma, anche se erano protetti dal brevetto papale, fuori dallo Stato Pontificio chiunque poteva fare ciò che voleva. Ma i notturni a scappamento silenzioso dei Campani difficilmente riescono a imitarli. Spesso gli orologi di altre manifatture hanno meccanismi rudimentalissimi, anche se fuori sono decorati, dipinti.
Un’ultima domanda. Immaginiamo che il pezzo “preferito” del museo, come istituzione, è il Callin, che è stato usato come copertina del catalogo e delle locandine, e che appartiene alla vostra collezione. Qual è, invece, personalmente, il suo pezzo preferito?
Il mio pezzo preferito, personalmente, è l’ultimo della mostra, un orologio-scultura. Giuseppe Campani per la prima volta ha avuto la idea di collaborare non più con un pittore ma con uno scultore, Johannes-Jacobus Reyff, tirolese, attivo a Roma nel periodo del Bernini, che lavorava su legno (infatti faceva anche mobili). Gli viene chiesto di fare un Padre Tempo che regge un globo celeste su cui sono dipinte le costellazione, che è in realtà un orologio notturno (l’indice è traforato e gira). Incarna il concetto della mostra, non possiamo più dire se è più importante l’arte o la tecnologia. È la summa della meraviglia barocca: la prima cosa che fa (e l’obiettivo unico e ultimo) è stupire lo spettatore. La sorpresa è la scultura e l’orologio, ma non solo; quando uno solleva la metà del globo, la “cupola celeste” è traforata a stelline. Se si mette dentro una candela, si proietta sul soffitto il firmamento.