La difesa (e il contrattacco) di Sgarbi, accusato di essersi associato con alcune persone con l’obiettivo di produrre falsi seriali di De Dominicis
“Discutiamo di un autore morto da meno di cinquant’anni. Non possiamo ancora parlare legittimamente di capolavori universalmente riconosciuti. Siamo ancora in una sorta di limbo, per così dire”. Non poteva farsi attendere, la replica di Vittorio Sgarbi, accusato di aver autenticato false opere di Gino De Dominicis. E sceglie le colonne dell’edizione romana del Corriere della Sera: lo stesso che ieri aveva fatto il punto dell’inchiesta, portandola alla luce di media e opinione pubblica. L’accusa nei suoi confronti è di associazione a delinquere e di false certificazioni, per fatti che risalgo al 2012/2015: il prossimo 30 giugno si deciderà sul rinvio a giudizio o meno.
“Onorevole Sgarbi”, domanda il Corriere, “le intercettazioni agli atti sembrano chiare. In una di queste la gallerista Marta Massaioli dice al figlio: ‘Diamo a Vittorio 10mila euro…’. Secondo la Procura lei e altri avreste creato una fabbrica di false expertise delle opere di Gino De Dominicis in cambio di soldi. È così?”. Risposta puntuale: “I compensi erano e sono minimi. Per il mio lavoro nell’associazione ricevevo 50mila euro l’anno. Si rivolgevano a me in quanto amico di De Dominicis”.
“Eppure lei è stato denunciato dalla nipote di De Dominicis che ha presentato un esposto alla Procura di Roma. Quei quadri a suo giudizio erano falsi”, incalza il quotidiano. “Dietro tutta questa storia c’è quella m… di Italo Tomassoni (critico e collezionista, ndr). Tomassoni possiede un’ottantina di sue opere. Io, in quanto presidente dell’associazione De Dominicis, intendo intraprendere un’azione giudiziaria contro di lui. Le cose stanno in modo diverso: io dico che sono falsi quelli posseduti da Tomassoni e non quelli sequestrati per l’inchiesta dalla polizia giudiziaria”.
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