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L’intuizione fa la storia. La nuova mostra del Guggenheim Bilbao sfida le convenzioni estetiche

Georg Baselitz, Mrs. Lenin and the Nightingale (Selection of 4 works) Lucian and Frank en plein air (Lucian und Frank Plein-air), 2008. Oil on canvas. 300 x 250 cm. Guggenheim Bilbao Museo © Georg Baselitz, Bilbao, 2021

Dall’11 giugno 2021 al 6 febbraio 2022 il Museo Guggenheim Bilbao presenta la mostra La linea dell’ingegno. Il progetto – il primo curato da Lekha Hileman Waitoller – si propone di raccogliere quegli artisti che più di altro hanno saputo sfidare le convenzioni estetiche.

Ingegno e sperimentazione sono elementi necessari per il progresso. Soprattutto in ambito culturale, dove la qualità di un’intuizione è forse l’unico fattore in grado di aggiungere reale contenuto artistico a un evolversi lento e, troppo spesso, epigonale. Basterebbe forse setacciare la storia dell’arte, andando a individuare quali artisti hanno mostrato una particolare propensione a sfidare le convenzioni estetiche del loro tempo, per individuare gli snodi chiave del suo percorso.

Con questo obiettivo, ovviamente parziale, nasce La linea dell’ingegno, la nuova mostra del Museo Guggenheim Bilbao (dall’11 giugno 2021 al 6 febbraio 2022). L’esposizione riunisce artisti di distinte generazioni che lavorano con differenti mezzi e comprende alcune opere significative della Collezione con altre giunte in prestito a lungo termine. Ad avvicinare gli autori è la linea creativa di chi è disallineato, comunanza nella devianza, vicinanza nell’allontanarsi dal comune pensare.

Organizzata tematicamente, l’esposizione dedica la prima sala a opere create fuori dal contesto tradizionale dello studio dell’artista e a processi artistici poco abituali. Tra queste c’è Senza titolo (Camera di alabastro), 1993, di Cristina Iglesias, le cui lastre di alabastro traslucido dell’opera fluttuano inclinandosi delicatamente in entrambe le estremità mentre alterano la luce, sia dell’ambiente che dello spazio. Oggetto di riflessione (2017), di Alyson Shotz, è invece costituita da innumerevoli pezzi di alluminio perforato uniti da anelli di acciaio. Da lontano, l’oggetto sembra una scultura pesante e voluminosa, ma uno sguardo attento scopre la traslucidità e la malleabilità del materiale.

Yoko Ono, Hichiko Happo, 2014

Action painting e antica calligrafia giapponese si mescolano in Hichiko Happo (2014) di Yoko Ono. Le nove tele che compongono l’opera sono il frutto della performance che l’artista ha tenuto nel museo basco nel 2014. In tale occasione Ono aveva dipinto la frase frase in giapponese “Sette fortune e otto tesori”, il cui inchiostro cola richiamando Pollock e alterando l’eleganza della grafia orientale.

La seconda sala dell’esposizione include una selezione di opere figurative che illustrano le molteplici maniere in cui gli artisti trattano il tema della forma umana. Rappresentativa della sezione è La signora Lenin e l’usignolo (2008) di Georg Baselitz. L’opera, appartenente a una serie di 16 tele, mostra le figure umane al contrario, cifra stilistica distintiva dell’artista. Baselitz affermava che dipingere le figure capovolte nelle sue opere gli serviva per generare distanziamento nell’osservatore, che deve contemplare attentamente il contenuto, teso tra la figurazione e l’astrazione.

In questo spazio viene mostrata inoltre una selezione di dipinti di donne sorridenti proveniente dalla serie di undici tele di Alex Katz, Sorrisi, 1994. Il ritratto eseguito con colori piatti, uno spazio pittorico poco profondo e linee concise, ma estremamente descrittive, su uno sfondo monocromatico è un motivo ricorrente in Katz.

Alyson Shotz, Object for Reflection, 2017

L’ultima sala raccoglie una selezione di opere astratte che sono inventive per i loro metodi e materiali, portando i vari mezzi artistici oltre i loro limiti. Alcuni autori adottano materiali poco tradizionali, come la pittura commerciale, ceramiche o lavagna e gesso. Tra questi Julian Schnabel e i suoi caratteristici dipinti di piatti rotti nel 1979, in cui inserisce frammenti di stoviglie in Bondo (una specie di resina in poliestere) e sui quali dipinge successivamente all’olio immagini rudimentali.

Nella sua opera del 2013 Grafia basca; caratteri tipografici e ornamentazione: 1961–1967 1967 (2013) Maneros Zabala si appropria di un’iconografia carica di significato politico e storico e la inverte, trasforma e serializza. Le trentanove lamine di rame che compongono l’opera non mostrano la pagina stampata, bensì la matrice da cui viene creato il testo, a mo’ di presentazione archeologica che cerca di mostrare il processo di riproduzione meccanica mediante una tecnologia industriale obsoleta.

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