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Il sonno eterno di Gengis Khan. Morte, misteri, sepoltura, eredità del Mongolo più grande

Portrait de Le Kain dans le rôle de Gengis Khan, 1769 - Simon-Bernard Lenoir
Portrait de Le Kain dans le rôle de Gengis Khan, 1769 – Simon-Bernard Lenoir

Gengis Khan, il mongolo più celebre! Ricordato dai posteri sia come il costruttore di uno dei più vasti imperi terrestri, sia come il distruttore di civiltà. Un binomio contraddittorio, chi lo condanna e chi lo assolve, per il suo popolo un eroe, per i nemici un tormento…

Gengis Khan è una figura caleidoscopica oggetto di numerose manipolazioni nel corso dei secoli. Come tante altre figure storiche i confini di realtà e leggenda sfumano, cosa c’è di vero? Cosa c’è di falso? Si chiamava Temujin, proprio come uno dei capi Tatari avversari ridotti in schiavitù dal padre. Gengis Khan dunque non era il suo nome, bensì un titolo onorifico soggetto a diverse traduzioni: Oceanico Signore, Sovrano Universale, o ancora Immenso Capo Supremo. Conosciamo il luogo della sua nascita, le sorgenti del fiume Oron, nel nord dell’attuale Mongolia, ma non la data precisa: 1155, 1162 o 1167? Sappiamo quando morì, nell’agosto del 1227, in una regione dell’attuale Cina durante delle operazioni militari, ma non il luogo del suo eterno riposo, tanto meno le cause: avvelenato da una concubina? Affaticato da una malattia? Colpito da un fulmine? Caduto da cavallo? Deturpato da una vedova vendicativa con una tenaglia vaginale?

Portrait of Gengis Khan, XIV sec - Pittore aninimo
Portrait of Gengis Khan, XIV sec – Pittore anonimo

Appartiene, insieme alla storia del suo popolo, a un filone di studi ancora avvolto dall’oscurità: sono stati scritti pochi libri, che, quando non cedono al romanzesco, indagano più i fatti che non l’organizzazione, la cultura, l’economia o la struttura sociale sottostante.

Chi erano i Mongoli? Un mosaico di tribù dell’immensa steppa centro-asiatica dedito all’attività pastorale e al nomadismo, sempre in movimento, costantemente a cavallo. Uomini e donne non erano poi tanto diversi, avevano tutti compiti ben definiti, al bando gli inutili e i deboli! Le donne erano dunque tutt’altro che superflue, o semplici genitrici, avevano un ruolo fondamentale di assistenza, non solo, partecipavano anche ai combattimenti quando necessario. Sopravviveva chi era abbastanza forte da resistere. Essere un mongolo non era affatto facile. Temujin scoprì l’asperità della vita quando i Tatari attuarono la loro vendetta uccidendogli il padre: da questo momento avrebbe potuto contare solo su se stesso. Ebbene, da solo, realizzò uno dei più grandi imperi della storia. L’arma segreta di Gengis Khan era proprio l’esercito e la rigida disciplina imposta, infatti prima di partire alla conquista lo riformò: costituì tre reparti (ala destra, ala sinistra e centro), introdusse nuove tecniche ed esercitazioni.

Temujin proclaimed Genghis with his sons, XV sec
Temujin proclaimed Genghis with his sons, XV sec

Ciò che costruì non durò a lungo. A causa di insufficienti istituzioni salde e adeguate leggi successorie, nessuno dopo di lui riuscì ad istituire una supremazia abbastanza durevole. Infatti, una volta morta la personalità che era riuscita nell’impresa di coesione del mondo mongolo, con lei moriva anche il suo progetto. L’eredità che Gengis Khan lasciò ai suoi figli era fragile, l’impero si sgretolò. La suddivisione del potere, degli uomini e dei territori tra i suoi figli, Juci, Ciaghatay, Ogoday e Tului, fu seme della sua distruzione. Questi proseguirono l’espansione paterna in tutte le direzioni, arrivarono a minacciare Vienna per poi tornare sui loro passi.

Un mistero ancora da svelare è il luogo di sepoltura di Gengis Khan, dopo otto secoli ancora non è stata trovata la sua tomba. Chi custodiva questo segreto è ormai morto e la natura ha nascosto ogni traccia. Inoltre gran parte della popolazione mongola non approva l’operato degli archeologi intenti a cercarla, il pericolo è che possano disturbare il riposo degli antenati, le cui anime potrebbero venirne danneggiate. Non bisogna sottovalutare l’importanza di Gengis Khan, si tratta del loro eroe e simbolo nazionale, tanto è vero che alcuni hanno interpretato le disavventure corse dai “profanatori” segni della volontà del conquistatore di non essere disturbato: la paura può essere abbastanza forte da fermare nuovi tentativi?

Bibliografia

  • Bianchi, Gengis Khan. Il principe dei nomadi, Roma – Bari, Gius. Laterza & Figli, 2005.
  • G. Merlo, I mongoli da Gengis Khan a Tamerlano, in La storia. I grandi problemi dal Medioevo all’età contemporanea, vol. II Il Medioevo, 2, Popoli e strutture politiche, UTET, Torino, 1986, pag. 555 – 574.
  • Cortonesi, Il medioevo. Profilo di un millennio, Roma, Carocci editore S.pA., 2014.

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