Il mio cuore è vuoto come uno specchio è un progetto articolato che assorbe completamente l’attuale ricerca artistica di Gian Maria Tosatti (1980), realizzato grazie al sostegno dell’Italian Council. Il fuoco della sua indagine è la crisi della democrazia e la conseguente scomparsa della civiltà occidentale, nata nell’Atene di Pericle. Nel 2018, l’artista ha iniziato un pellegrinaggio in giro per il mondo che lo ha portato in diverse città e paesi con l’obiettivo di ritrarre la complessità del loro stato attuale. Ogni opera creata attraverso questo processo rappresenta un episodio all’interno di un ideale romanzo visivo, dove visioni, profezie e realtà sono indistinguibili.
L’Episodio di Istanbul – che arriva dopo gli episodi di Catania, Riga, Cape Town e Odessa – è l’installazione che Tosatti ha sviluppato dopo una ricerca sul territorio durata cinque anni. Le molteplici suggestioni raccolte lungo il percorso sono state composte per formare un racconto visivo potente e commovente. Fino al 25 luglio 2021.
La città sul Bosforo ha visto, negli ultimi decenni, una crescita economica tra le più imponenti d’Europa. In pochi anni, a ritmi incessanti che continuano tutt’ora, a Istanbul sono stati costruiti centinaia di grattaceli e di imponenti quartieri direzionali. Ma di là dell’eclatante espansione orizzontale e verticale che ha cementificato grandi superfici e ricostruito da zero zone antiche, la grande speculazione edilizia ha, in realtà, sottratto territorio e disperso comunità. Le nuove case, i nuovi uffici, sono troppo cari per i cittadini, che vengono spinti sempre più al margine.
La nuova Istanbul di vetro e acciaio, di ghisa e marmo, è in realtà una città fantasma. E mentre le nuove edificazioni avanzano, i vecchi quartieri, le vecchie case si arrendono e vengono ridotte in polvere, con la loro storia di secoli. Da molti anni, su Tarlabaşı, il quartiere curdo, pende una condanna. Uno dei luoghi più vitali della città, coi suoi bambini scalzi che giocano ovunque, un’area simile alla Napoli degli anni ’50, cede ogni giorno qualche metro all’avanzata di una nuova idea di città, di società. Seguire il confine di questa demolizione progressiva è un osservatorio ideale per capire i mutamenti che hanno investito il paese nell’ultimo ventennio.
«Vivere questi mesi a Tarlabaşı, per me e per il mio team, è un’esperienza potente e dolorosa – dichiara l’artista. E’ come osservare una stella morente. Essere esposti ai suoi ultimi bagliori, dall’osservatorio privilegiato del palazzo in cui stiamo costruendo l’opera. Un’opera che si oppone, con la disperata vitalità della poesia, all’avanzare del deserto». L’installazione sarà realizzata all’interno di un grande edificio liberty al centro del quartiere. Unico abitante è una ragazza sorda. Il visitatore, entrando, nota la vita semplice di una figura che vive in questo luogo sospeso nel tempo senza che riesca a sentire nulla del grande rombo del capitalismo che assedia il suo quartiere, la sua casa.
Ma questa minaccia ruggente, è da lei percepita attraverso le vibrazioni sugli oggetti di vetro presenti nel palazzo, nelle diverse stanze. Tutti, infatti sono attraversati da crepe. Accanto alla finestra c’è un vecchio grammofono, la cui voce, costituita da armoniche vibrazioni, è usata dalla ragazza come una preghiera per ammansire la furia della minaccia che avanza al suono incessante dei martelli pneumatici e delle scavatrici.