Amarcord 60 / 1 – Un nuovo appuntamento con la rubrica di Incontri, Ricordi, Euforie, Melanconie di Giancarlo Politi: arte al potere
Alla fine degli anni ’50 a Roma, fra i molti artisti, frequentavo un amabilissimo amico pittore, che era anche un colonnello o maggiore dei carabinieri (forse dei servizi segreti del famoso e temuto generale de Lorenzo). Era un modesto ma determinato pasticcione che si era convinto di essere un gran pittore ed era riuscito a convincere anche il contesto che lo circondava, fatto di politici, magistrati, alta borghesia e alti ufficiali dell’esercito. E nel suo entourage aveva un buon successo e conduceva una vita di alto profilo. Mi invitava spesso in ristoranti costosi e viveva in un appartamento confortevole al centro di Roma, con una bella famiglia, figli modello e moglie devota.
Un giorno a casa sua mi disse: “Vedi quel crocifisso?”, e mi indicò un quadro con una specie di uomo in croce sbilenco e con qualche pennellata informale attorno, come è d’uso tra gli autodidatti. “Lo vorrebbe Giulio Andreotti, offrendomi un milione di lire (a quei tempi un sogno. Turcato e Vedova vendevano faticosamente a 20 mila lire) ma io voglio di più. Quanto gli chiesi? Un appartamento qui in centro, perché di quell’opera ho tante richieste e posso chiedere ciò che voglio”. Poi non so o non ricordo se ottenne l’appartamento o come andò la transazione. Ma so che un pittore dilettante teneva in scacco il più potente uomo politico italiano con una pessima opera di carattere religioso. “Veramente l’Arte ha un fortissimo potere!”, pensai tra me.
Mi chiedevo come mai l’arte, in tutti i suoi aspetti, soprattutto velleitari, abbia questo potere di attrazione e di sopraffazione nei confronti altrui. Non c’è politico, giornalista, sindaco di paese e di città, che non abbia un artista o due da sostenere. E di cui farsi vanto di esserne amico. Ogni persona benestante, uomo o donna, di destra o di sinistra, con un minimo di cultura, si crede un cardinale o un principe fiorentino al potere e pensa di avere al suo fianco Raffaello appena incontra un pittore maldestro. In questi mesi, con il lockdown e la salita alla ribalta di virologi esibizionisti, opinionisti di professione (a 3.000-4.000 € ad apparizione), giornalisti in pensione, politici sempre alla ricerca di visibilità, non ce n’è uno senza un’opera d’arte contemporanea accanto o alle sue spalle. Veramente fateci caso.
Lo studio di Massimiliano Fedriga (il pur ottimo, credo, Presidente del Friuli-Venezia Giulia), ad ogni collegamento sembra una galleria di arte contemporanea di provincia. In tutti questi interventi, da me attentamente seguiti solo per vedere come l’arte contemporanea, nei suoi vari aspetti, mette sull’attenti chiunque, non ne ho incrociato uno, dico uno solo (e ne ho scorsi a centinaia) che si fosse circondato di un artista dilettante sì, ma anche con qualche qualità. No, tutti dilettanti e imbrattatele da strapazzo che però sbarcano il lunario, spesso anche benissimo, grazie a quel minimo di visibilità e di prosopopea che gli permette di credere o far credere di essere qualcuno. E si sente (e si vede) veramente di tutto.
Ciò che abbiamo sentito in virologia lo sento ogni giorno, da anni, nell’arte. E questi signori intervistati, usano questa TV trash per cinque minuti, per farsi belli e apparire persone che vivono la contemporaneità. È facile definirsi e far credere di essere un “artista contemporaneo”. Si sporca una tela di colore con qualche linea sghimbescia e si diventa artista contemporaneo (osservare la foto di Paolo Guzzanti, ottimo giornalista ma sprovveduto e improvvisato appassionato di arte contemporanea tra le opere di un altrettanto sprovveduto pittore): un occhio esperto riconosce subito il solito dilettante che riesce a farsi passare per artista. Il miracolo dell’arte. Ogni giorno rifletto e mi guardo attorno e noto che nessuna professione è così miracolosa e fruttuosa come l’arte (forse a parte la politica e certa finanza).
Per scrivere a Giancarlo Politi:
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