Amarcord 60 / 2 – Un nuovo appuntamento con la rubrica di Incontri, Ricordi, Euforie, Melanconie di Giancarlo Politi: Thomas Kinkade, il pittore della luce
Thomas Kinkade è stato un geniale pittore americano di paesaggi che aveva infestato gli Stati Uniti di sue opere (tutte grafiche tratte dai suoi dipinti). E che attraverso abili strategie di vendita era riuscito ad affermarsi come nessun altro pittore all’interno degli USA. In un certo momento della sua vita (piuttosto breve, purtroppo, deceduto a 58 anni) aveva fondato ed erano di sua proprietà oltre 250 gallerie in tutto il paese che lo rappresentavano. E poi centinaia di negozi di cornici che offrivano le sue opere incorniciate, e una vendita capillare attraverso Internet. In cui tu sceglievi un’opera di Kinkade, cliccavi la cornice che preferivi e dopo pochi giorni ricevevi l’opera a casa. Pagandola contrassegno o con carta di credito.
Thomas Kinkade per alcuni anni fu il sogno dell’americano medio. Ogni casalinga americana (e non solo) aveva un sogno, che spesso realizzava: avere in casa alcune opere di Kinkade. Tutte opere rassicuranti e tranquillizzanti: paesaggi boschivi, laghetti di montagna, colline e case innevate, ecc. Tu potevi scegliere il soggetto che ti appariva e nel formato che volevi (e che trovavi in una delle 250 gallerie e i tantissimi corniciai USA), sceglievi la cornice a seconda del tuo arredamento e il gioco era fatto. E avevi opere che riscaldavano la casa e tranquillizzavano l’occhio.
Il mio sogno frustrato di intervistare Thomas Kinkade
Negli anni ’80 Kinkade era l’artista più popolare, ammirato e ricercato degli USA. Ma solo negli Usa e solo dagli americani poco acculturati. Che però erano più di duecento milioni. Si dice che sia stato l’artista più venduto del globo, con centinaia di milioni di opere. Ripeto: tutte opere grafiche tratte dalle opere originali che non mi pare lui volesse vendere perché destinate a un ipotetico Museo Kinkade che poi non so se è stato mai realizzato. Da un originale lui ricavava più versioni per l’opera grafica, a seconda del formato, e tirate in migliaia di copie: piccolissima, piccola, media, grande e grandissima. In realtà un manifesto litografico, stampato con grande cura e acquistabile solo in una cornice Kinkade.
Fu anche quotato in borsa, non so se a Wall Street o altrove, ma certamente lo fu. Lui era popolare soprattutto nella profonda America, dove per arte intendevano un paesaggio rassicurante in cornice. Andy Warhol me ne parlò con grande ammirazione perché lui era molto attento e attratto dalle strategie di mercato. E secondo lui Kinkade era un genio perché era riuscito ad introdurre una o più opere in ogni casa di un americano medio. Che era anche il sogno di Andy Warhol e di Jeff Koons, che però non potevano avere lo stesso potere di penetrazione di Kinkade a causa dei prezzi.
Kinkade credo che non costasse molto: opera più cornice dai 250 ai 5.000 dollari mi pare. Ma moltiplicate queste cifre per venti, forse cinquanta milioni, e verranno fuori entrate da capogiro che Jeff Koons e Andy Warhol si sognavano. Io tentai invano e più volte di incontrare Thomas Kinkade per intervistarlo, ma lui mi snobbò completamente. Aveva catene di riviste per donne e di cucina e di arredamento che si occupavano di lui, figurarsi se lui voleva perdere tempo con una rivista di nicchia come Flash Art! In quegli anni per me fu una vera frustrazione, anche perché ero curioso di incontrare questo genio dell’organizzazione dall’aspetto un po’ grossolano ma dal cervello certamente fino.
Kinkade, il mito di Andy Warhol e Mark Kostabi
Ovviamente Kinkade fu l’idolo di Mark Kostabi, che attraverso la sua fabbrica bypassava le gallerie d’arte. Io ho conosciuto Kostabi nei primi anni ’80, attraverso un annuncio pubblicitario sul New York Times, mentre ero a New York. “Arte? Dal produttore al consumatore. Visitate lo Studio di Mark Kostabi (indirizzo, tel. eccetera…)”, o qualcosa del genere. Io mi precipitai e incontrai subito un genio della comunicazione, e allora anche ottimo artista, perché era il vero artista concettuale. Come nessun altro. Infatti lui non interveniva mai nella sua opera, pensata e dipinta da altri. Le firmava soltanto. Lui, attraverso annunci pubblicitari, invitava giovani artisti ad inviargli un progetto pittorico che poi Mark faceva realizzare dai suoi assistenti.
Quando l’ho conosciuto io il suo compito era di scegliere con ciò che lui chiamava “pensatoio”, cioè lui e suo fratello, che era una sorta di Writer, i progetti ricevuti per poi farli realizzare. E penso che offrisse 100 dollari per ogni progetto accettato. Ma il suo studio era super organizzato: vendeva, oltre alle opere, i suoi cataloghi, firmati e non, a prezzi diversi, cartoline delle sue opere a 50 centesimi e firmate a 5 dollari. Lo stesso per i cataloghi, libri e manifesti. Insomma una fucina di idee per incrementare il suo business, che ad un certo punto divenne enorme.
Appariva spesso anche in una TV dove invitava giovani critici, che retribuiva sempre con 100 dollari, a dare un titolo alle sue opere. Ma Mark realizzò la sua fortuna economica soprattutto in Italia, dove ha venduto migliaia e migliaia di opere: credo sia uno degli artisti, insieme a Schifano, più presenti nel mercato italiano.
A New York, sempre nella sua famosa TV, dove veniva spesso invitato, incappò in un incidente che gli precluse molte vie del mercato: proclamò che il mercato dell’arte era gestito da ebrei e omosessuali, per questo lui ne era fuori. Figurati, con un simile proclama a New York nel 1985 eri bandito! A tal punto che io provocatoriamente pubblicai un’intervista con lui in Flash Art, dedicandogli anche la copertina. E Jeffrey Deitch mi disse che dopo questa intervista, Flash Art non avrebbe avuto lunga vita. Una delle poche predizioni sbagliate del grande Jeffrey.
Ricordo anche che la casa di televendite Telemarket, grazie ad un amico comune, mi chiese di contattare Mark per offrirgli un contratto in esclusiva di un miliardo di lire (chi si ricorda delle lire? Un miliardo era indice di vera ricchezza!). Mark mi ringraziò ma disse di no. Lui preferiva esporre nelle gallerie anche di provincia, a Porto Recanati, Lodi, Loreto, Caserta, dove per una serata era il protagonista assoluto, suonava il pianoforte (sua grande passione), incontrava le persone e parlava amabilmente con loro. E talvolta incontrava anche l’amore. E poi, mi confessò che lui guadagnava più di un miliardo.
Per scrivere a Giancarlo Politi:
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