Nella mostra Breath Ghosts Blind allestita al Pirelli HangarBicocca di Milano trova spazio una monumentale scultura in resina che ricorda l’attentato terroristico al World Trade Center. L’opera, realizzata per l’occasione, è però nella mente di Maurizio Cattelan da diversi anni. Per la precisione, da quando il Guggenheim di New York preferì non esporla.
Come inevitabile (e giusto) si è già fatto un gran parlare della mostra di Maurizio Cattelan da Pirelli HangarBicocca. Troppo scarna? Al di sotto delle aspettative? Del resto quello che si era preso come un titolo piuttosto evocativo – Breath Ghosts Blind – si è invece rivelato esprimere la massima didascalicità. Tre sole, infatti, le opere che compongono il tanto atteso ritorno di Cattelan in Italia dopo il (rimangiato) ritiro dalle scene artistiche nel 2011: Breath, Ghosts e Blind, per l’appunto.
Troppo poche? Sufficienti? Le opinioni si sono alternate e sovrapposte, dando ad ogni modo da discutere. Brevemente, se da una parte può avere senso disinnescare l’immenso spazio dell’Hangar esponendo solo tre lavori, dall’altro la riproposizione di un’opera (Ghosts) già allestita in due occasioni non può soddisfare appieno la nostra bulimica (o legittima) voglia di novità. Ad essere pignoli, anche Breath sembra scarica dell’estro a cui Cattelan ci ha abituato. Se è vero che l’artista per l’occasione ha dismesso i panni del provocatore in favore di un’analisi intima ed esistenziale, la scultura dell’uomo e del cane abbandonati in posizione fetale pare più pietistica che evocativa.
A regalarci una storia interessante, per fortuna, rimane Blind. Si tratta di una grande torre in resina nera attraversata da un aereoplano nella sua sommità. Il riferimento è ovviamente all’attacco terroristico che nel 9/11 ha coinvolto il World Trade Center di New York. Ormai quasi vent’anni fa. L’opera, nonostante sia stata realizzata solo ora per HangarBicocca, è «qualcosa che avevo in mente da anni» racconta Cattelan in un’intervista contenuta nel catalogo edito da Marsilio Editori.
A lungo residente a New York, Maurizio Cattelan è stato testimone diretto della tragedia. «Ero a New York l’11 settembre e mi stavo preparando a salire su un aereo. Sono dovuto poi tornare a casa a piedi da LaGuardia, ci sono volute ore e le cose che ho visto nel tragitto mi accompagnano tuttora. Quelle scene furono terribili, apocalittiche, e porto ancora con me il ricordo di quel tragico evento che rivelò tutta la fragilità della condizione umana».
Nel 2017, Cattelan ha discusso con l’allora capo curatore del Solomon R. Guggenheim Museum di New York, Nancy Spector, circa l’idea di un’opera monumentale che commemorasse l’11 settembre. Lei si era però detta «titubante», poiché «l’idea di manifestare visivamente il trauma dell’11 settembre sembrava troppo emotivamente tesa, forse anche tossica, in particolare a New York City solo 16 anni dopo gli attacchi». Non certo estraneo alle provocazioni, Cattelan deve però aver intravisto troppi rischi legati alla realizzazione di un simile lavoro. Ha così pazientato in attesa di trovare le giuste circostanze per dare vita al progetto.
Nell’intervista in catalogo a Todolí e Tenconi, i due curatori della mostra, l’artista descrive Blind come «un’opera sul dolore e la sua dimensione sociale, è lì per mostrare la fragilità di una società in cui la solitudine e l’egoismo sono in aumento». Intuitiva la possibilità di estenderne il significato anche alla pandemia di Covid-19, che ha «reso visibile la morte nelle nostre vite».
Interrogato sulla decisione di esporre per la prima volta in Italia un’opera ispirata all’11 settembre, Cattelan risponde: «Certe immagini (e oggetti) hanno un incredibile potere simbolico; sono così cariche che assumono un significato più ampio e diventano evocative di tante cose, non solo di quell’evento. E così raggiungere una certa distanza, non solo nello spazio ma nel tempo, diventa un passo necessario per ricordare».