Un colto lavoro di squadra per documentare una spiritualità antica e di squisita fattura artistica. È questa la comunicazione che giunge ai visitatori attenti e sensibili nel soffermarsi dinnanzi alle realizzazioni estetiche dei Ritratti d’oro e d’argento. Reliquiari medievali in Piemonte e Valle d’Aosta. Due eventi espositivi complementari e in concomitanza, uno ad Aosta, presso il Museo del Tesoro della Cattedrale (24 maggio – 26 settembre 2021), curato da Viviana Maria Vallet; l’altro a Torino, nella sala Atelier di Palazzo Madama (dal 5 febbraio 2021 a 30 agosto 2021), curato da Simonetta Castronovo.
Per unificare e motivare entrambi gli eventi è indispensabile ed esaustivo il ricco catalogo da conservare come preziosità, sia per le immagini ben definite che per i sapientissimi contribuiti scientifici. Rigorosi sono i dettagli e le scelte del percorso espositivo; vi si avverte l’influsso della scuola universitaria torinese d’Arte Antica, e quindi delle lezioni metodologiche di Enrico Castelnuovo e di Giovanni Romano; in questo contesto vanno segnalati gli scritti delle due curatrici. E ancora, gli straordinari contributi – tutti da leggere! – di Marco Collareta; di Alessandra Vallet; di Roberta Bardon; di Daniela Platania; di Sylvie Cheney.
Ai visitatori vengono quindi in soccorso le schede attributive frutto di severi studi sugli archivi delle diocesi dei territori sabaudi. Son tredici i busti reliquiari esposti ad Aosta. Segnaliamo quello di San Bernardo di Aosta, di San Grato, di San Giocondo e di San Giovanni Battista; a Torino ne sono esposti diciassette, tra i quali ricordiamo quello di Santa Felicola, di San Natale, di Santa Margherita e di San Bernolfo. Va qui sottolineato che non si tratta di immagini devozionali, bensì di contenitori di sacri residui corporali. Il reliquiario era dunque uno strumento di comunicazione per i fedeli che approdavano alle abbazie a alle cattedrali, e doveva solo rimandare all’adorazione del sacro contenuto. E non a caso, a evitare il peccato di idolatria, l’autorità papale non ammetteva la possibilità di esporre e adorare un reliquiario vuoto.
Diocesi e nobili commissionavano i ritratti dei santi ad orefici talentuosi nel dare forma all’oro e all’argento, praticando un’arte che travalicava i limiti del mero artigianato. Solitamente essi trovavano collocazione sull’altare maggiore della chiesa o, quanto meno, campeggiavano nelle cappelle private dell’aristocrazia. Sono sculture a tutto tondo e colorate, solitamente a mezzo busto, o talvolta intere; volti espressivi, sguardi sereni, a volte severi o persino torvi; emblemi di santi locali, protagonisti di un immaginario collettivo che attizzava il fuoco della fede.
Si deve essere grati agli studiosi delle due Sovraintendenze e delle due Diocesi di avere saputo iniziare e a portare a termine, in questi due anni di pandemia, un progetto di simile livello, rivelando al pubblico la bellezza struggente dell’antica liturgia cattolica.