Dal 4 settembre al 2 ottobre 2021 la galleria Perrotin di Parigi presenta la prima mostra dedicata al regista danese Lars von Trier. L’esposizione, chiamata ARTvonTRIER, si compone si una serie di lavori fotografici tratti dalle scene di alcuni film del regista.
24 opere come 24 sono i frame necessari perché l’occhio umano percepisca la magia dell’immagine in movimento. Tante sono le fotografie raccolte da Perrotin per raccontare il cinema di Lars von Trier. Non si tratta di backstage o immagini che ricostruiscono il processo creativo, ma frame che rimandano in modo preciso a momenti iconici della filmografia del regista. Cineasta che negli anni si è distinto per il suo stile audace e controverso, sia dal punto di vista estetico che contenutistico.
Da The Element of Crime (1984) to The House That Jack Built (2018), passando per Breaking the Waves (1996), Dogville (2003), Antichrist (2009), Melancholia (2011) e Nymphomaniac (2013). Ciò che emerge è la sensibilità artistica di von Trier, capace di spaziare da inquadrature di puro naturalismo a composizioni dall’artificio complesso. Significativo inoltre il legame con il mondo dell’arte e della letteratura, a cui il regista ha costantemente guardato per trarre ispirazione.
L’opera The Barque of Jack, ad esempio, allude inequivocabilmente a La Barque de Dante (1822) di Eugène Delacroix, e The Most Sensitive Subject of All, tratto dall’omonimo film, vuole essere una natura morta. Il ritratto di Kirsten Dunst in Justice of Ofelia è un riferimento diretto a Ofelia (1852) di John Everett Millais, mentre Moonshower presenta il ricorrente motivo di Venere – il titolo Melancholia è esso stesso un riferimento omonimo a un’incisione del 1514 di Albrecht Dürer. Parallelamente, l’influenza di Caspar David Friedrich è evidente ne The Impossibility of Breaking a Wave, come si percepiscono Orlan e Duchamp in A Mirror Is Like a Thought, mentre Antichrist è ambientato in un Eden corrotto.
Ogni fotografia fissa così le inclinazioni estetiche di Lars von Trier – tra il caos dell’immagine naturalistica all’aspetto più manieristico della plasticità – per far emergere una nuova unità. Proprio come il suo cinema rivisita generi diversi distorcendoli o sovvertendoli, le sue fotografie esaminano assiduamente la questione dei generi pittorici. Non è una coincidenza, per esempio, che la mostra presenti un numero significativo di ritratti, in linea con il gran numero di primi piani in Lars von Trier. D’altronde: cosa potrebbe esserci di più rivelatore di un volto per trasmettere l’essere umano intaccare?
Giungendo al nocciolo dell’esposizione, essa intende in ultima analisi fissare in uno scatto la dinamicità del cinema, sospenderne in un momento di fissità il suo inesausto muoversi nello spazio e nel tempo.