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Francis Bacon, il più francofilo dei pittori inglesi. La mostra a Monaco

Jesse Fernandez, Francis Bacon (London) (1978). Gelatine Silver Print © Estate France Mazin Fernandez. Courtesy Of (S)Itor Jesse Fernandez, Francis Bacon (London) (1978). Gelatine Silver Print © Estate France Mazin Fernandez. Courtesy Of (S)Itor
Francis Bacon, Two Figures (1953)
Francis Bacon, Two Figures (1953)

La Francis Bacon MB Art Foundation di Monaco propone un’indagine inedita sull’artista britannico legata soprattutto ai suoi numerosi soggiorni nel Principato.

Come negli interni claustrofobici dei drammi di Sartre o nelle scene di alienazione dei primi film di Antonioni, i suoi personaggi si dibattono in una tragica solitudine, i corpi si sfaldano, confondono i loro confini con lo spazio vuoto che li sostiene, si contorcono, si avviluppano, simili a monadi sigillate in ambienti asettici, ermetici, che non conoscono altra luce che quella artificiale. Gabbie appena accennate sembrano voler contenere, comprimere l’esplosione di animalesca vitalità di quei corpi senza pace. Immagini insostenibili o semplicemente realtà insostenibile? Cosa vuole comunicare Bacon con la sua arte che vive di eccessi, anche se controllata dall’irruzione della coscienza e della sensibilità? Il proposito difficile, differente, altro, quasi insormontabile della sua pittura è soprattutto quello di un’analisi radicale della grande tradizione pittorica del passato e della realtà attuale e la loro ricreazione di forme, spazi, emozioni. È la sua una presa diretta con il reale e nel contempo un ricorso ad un’apparente irrealtà che poco ha a che spartire con il movimento surrealista, (nel‘36 alla mostra internazionale del Surrealismo le sue opere vennero respinte perché ritenute non abbastanza surrealiste).

Classe 1909,  autodidatta colto, sofisticato, maledetto irriducibile, omosessuale di complessa personalità, alcolista, tossicodipendente, incallito giocatore d’azzardo, con una passione artistica per il dolore, la malattia, la mutilazione, pioniere della Nuova Figurazione con l’ambizione di indagare la vera essenza dell’arte contemporanea, la sua potente, vitale pittura è lì a ricordarci la scissione tra l’occhio e lo sguardo, un tipo di immagine e di visione capace di captare forze spietate, energie viscerali  e che, malgrado si sia tentato di decifrare e definire anche attraverso  fonti visive e letterarie,  (vedi il film “Ultimo  Tango a Parigi”), non si riesce a penetrare completamente fino al cuore dell’enigma.

Francis Bacon, Study from the Human Body after Muybridge (1988)
Francis Bacon, Study from the Human Body after Muybridge (1988)
La Fondazione

La Francis Bacon MB Art Foundation di Monaco inaugurata nel 2014 dal Principe Alberto II propone un’indagine inedita su questo straordinario artista, un solitario nel panorama dell’arte del XX secolo, le cui quotazioni di mercato sono fra le più alte, vicine a quelle di Picasso. Situata in una palazzina Belle Époque, Villa Elise, (21 Bd d’Italie www.mbartfoundation.com), la Fondazione non vuole essere né una galleria né un museo, ma un luogo intimo in cui atmosfera e  cura dei dettagli ricordano molto da vicino  ambienti ed  elementi presenti nei quadri dell’artista inglese e dove anche i mobili, le pareti, le tende sono influenzati dalla breve stagione in cui Bacon, a inizio anni 30, debuttò come designer.

Si tratta di un percorso singolare volto ad indagare soprattutto gli stretti rapporti intrattenuti dall’artista inglese con l’arte e la cultura francese e in particolare con il Principato di Monaco, dove a partire dal 1946 soggiornò e lavorò a lungo e in varie riprese, (l’aria di mare era un toccasana per lui che soffriva di asma e il Casinò lo attirava enormemente). Istituita da Majid Boustany, uomo d’affari di origine libanese appassionato d’arte e collezionista, si propone soprattutto come centro di ricerca e modello di trasmissione e accompagnamento dei giovani. È recente l’importo di due milioni di euro assegnato dalla Fondazione allEcole du Louvre e la partnership stretta con il centro di arte contemporanea di Nizza Villa Arson. Gli studiosi  hanno libero accesso  alla  ricca  biblioteca che contiene  la collezione di tutti i cataloghi delle mostre, un’ampia selezione di opere grafiche, una raccolta di documenti di lavoro dei vari studi dell’artista, cimeli del breve periodo in cui Bacon disegnava mobili e tappeti e il raro archivio fotografico comprendente i ritratti, circa seicento foto  scattate da fotografi famosi come Richard Avedon, Irving Penn, Cecil Beaton, David Bailey, Henri Cartier-Bresson, Peter Beard, Peter Stark, John Deakin e immagini  realizzate  dai suoi amici e amanti.

La Fondazione ha da poco acquisito una collezione eccezionale dallo studio-monolocale parigino dove Bacon visse tra il 1975 e il 1987, al 14 di rue de Birague nel quartiere del Marais.  Comprende circa settanta pezzi, tra lettere, documenti di lavoro, una selezione di foto, ma anche pennelli utilizzati, il cavalletto, un frammento di tela e altri oggetti significativi.  Appena si entra nei locali della Fondazione attira l’attenzione del visitatore la grande tela Figure Croucing (c. 1949) che rappresenta un personaggio nudo (un autoritratto, uno scimpanzè?), isolato in una gabbia trasparente e tridimensionale, a lato la più antica opera dell’artista, Watercolour (1929) fortemente influenzata dai modernisti francesi, da Lèger a Lurcat.

Fra le acquisizioni più recenti l’ultimo dipinto di Bacon di Isabel Rawsthorne, un dittico del 1983. Era la musa di Derain, Giacometti, Picasso e di Bacon, che l’ha rappresentata in ben   diciotto dei suoi dipinti.   Il Dittico la  fa vedere quando ha compiuto 70 anni   ed ha appena perso la vista dopo un intervento chirurgico. L’artista, mostrando grande delicatezza nei confronti dell’amica, sceglie di ammorbidirne i tratti quasi volesse ringiovanirla. Per alcuni soggetti opta per il trittico, format legato alla grande pittura religiosa, che gli permette di presentare differenti vedute dello stesso soggetto e mostrarne la relazione. Bacon dipinse quasi sempre amici intimi di cui conosceva bene fisionomia e personalità come Isabel Rawsthorne, Henrietta Moraes, Lucian Freud, George Dyer l’amante suicida più dipinto ed amato.

Jesse Fernandez, Francis Bacon (London) (1978). Gelatine Silver Print © Estate France Mazin Fernandez. Courtesy Of (S)Itor
Jesse Fernandez, Francis Bacon (London) (1978). Gelatine Silver Print © Estate France Mazin Fernandez. Courtesy Of (S)Itor
Gli anni monegaschi di Bacon

Gli anni monegaschi furono per Bacon una tappa decisiva nella sua carriera, a Monte-Carlo dipinse e iniziò serie destinate a diventare famose.  Sedotto dal clima, dallo stile di vita del Principato e dalla sua ossessiva passione per il gioco (ereditata, sembra, da quel padre freddo e distante che del figlio disapprovava ogni cosa), passa spesso intere giornate davanti al tavolo verde instaurando presto una strana connessione tra l’azzardo e la pittura. Stimolato dall’alternanza di esaltazione ed abbattimento che gli procuravano sia il gioco che il lavoro, rimane a Monaco quasi ininterrottamente da luglio del ’46 al ‘50, tornando spesso per frequenti soggiorni fino a due anni prima della morte.

Con il guadagno della vendita di Painting 1946, oggi al Museum of Modern Art di New York e prima opera ad entrare in un museo, il pittore può lasciare Londra per stabilirsi a Monaco. “Il dipinto più inconscio che abbia mai fatto”, come l’ebbe a definire lo stesso artista, rappresenta un personaggio autoritario sotto un ombrello, circondato da quarti di carne di un animale squartato e sezionato, la carcassa sospesa legata al tema della Crocifissione. Il corpo come carne e la carne come macelleria è uno dei temi-ossessione di Francis Bacon. Nell’arte, del resto, così come nella storia, la presenza del corpo offeso, lacerato è al centro degli avvenimenti che li hanno contrassegnati, specie nel ‘900 dilaniato dalle guerre mondiali e dagli orrori del nazismo.

Sappiamo quanto la rappresentazione del corpo sia centrale nell’opera dell’artista inglese, dove più si palesa il suo teatro della crudeltà attraverso la rappresentazione di torsioni isteriche dei corpi, spezzoni di antiche, tragiche, disperate narrazioni. Sfondo di tutti gli eventi psichici, (scriveva Sartre nel 43 “il corpo è l’oggetto psichico per eccellenza, il solo oggetto psichico”), lo schema corporeo non è soltanto il risultato di sensazioni e percezioni, ma anche una costruzione che ognuno si fa attraverso la rappresentazione che ha del proprio e altrui corpo, la componente libidica, oltre a quella sociale, concorrendo alla rappresentazione in una continua attività interna di autocostruzione e autodistruzione. La tendenza che porta all’unificazione delle parti del corpo, all’unità della propria e altrui immagine corporea, viene continuamente messa in forse nel pensiero e nell’ opera di Bacon dal forte impulso che spesso lo porta a distruggere tale immagine, personificando le singole parti e proiettandole fuori di sé come strani incubi, affascinanti, terribili fantasmi.

Francis Bacon, Painting 1946
Francis Bacon, Painting 1946

Un diario angosciante, delirante, visionario ci raccontano le sue immagini, dove spesso non è possibile riconoscere se non a stento, la relazione fra le parti del corpo scisse, dissociate. Come reintegrare la parte rifiutata, esclusa, ristabilire l’ordine se non attraverso la tecnica, “grazie alla quale -dice l’artista- potrei rendere la vita in tutta la sua forza”, immobilizzandola magari in una delle sue famose gabbie, claustrofobico mondo fissato per sempre nel legame strutturale della pittura? Quel corpo-carne che si allarga, si restringe, si frammenta e, come avviene nelle allucinazioni cenestesiche, subisce strane metamorfosi, si trasforma in carcasse di forme uomo-animale dalle fauci spalancate, in oggetti, immagini familiari e nel contempo perturbanti, che l’artista dipinge sulla base di esperienze intime, molto personali (si sa quanto fosse irresistibilmente attratto da giovanotti muscolosi e piuttosto pericolosi).  Bacon riscrive il corpo soprattutto attraverso l’irruzione di un maschile mortifero che rende con processi di sfocature, dissolvenze, dilatazioni prospettiche, esprimendo in tal modo una visione del mondo profondamente drammatica, angosciata e senza speranza di riscatto, in sintonia con il cupo messaggio di certa filosofia esistenzialista.  Forse facendo propria l’osservazione di Husserl “Tra i corpi di questa natura io trovo il mio corpo nella sua peculiarità unica, cioè come l’unico a non essere mero corpo fisico (korper) ma proprio corpo vivente (leib)”.

 Anche la prima rappresentazione della figura papale Landscape with pape/ Dictator olio su tela, collezione privata, datata verso il 1946, risale al periodo in cui, appena sbarcato a Monaco, alloggia all’Hotel Re assieme all’amante e mecenate Eric Hall e alla sua nutrice Jessie Lightfoot. Affascinato da Velasquez, che, come fece con i suoi molteplici amanti, rincorrerà fino alla fine, (muore a Madrid nel 1992), a questo dipinto seguirà, negli anni, la serie iconica dei Papi, (famose le sue  ossessive rivisitazioni del ritratto di Innocenzo X). Ingres, Van Gogh, Picasso, Soutine sono gli altri artisti a cui guarda con interesse. Pioniere della Nuova Figurazione, le sue figure non hanno però alcuna funzione illustrativa, sono piuttosto un teatro ferale, afflittivo, teso ad esprimere sensazioni, pulsioni, affetti, alla ricerca del barlume di verità che si nasconde, forse, in quei corpi percossi, straziati, deformati, sezionati, con l’intento, quasi impossibile, di trarre fuori, rendere visibile l’invisibile.

La forma umana è, a volte, ridotta a una testa, Head I 1948, Head II ’49,  protesa in un  urlo belluino, alla frontiera fra i tratti umani e l’animale. (“dipinge teste, non volti” scriveva Gilles Deleuze in un suo celebre saggio).  L’artista affermava spesso del resto che desiderava “far affiorare l’animalità nell’uomo”. In Head VI (1949, olio su tela Arts Council Collection, Southbank, Londra) raffigura il busto di un papa urlante prigioniero di una struttura astratta tridimensionale: Bacon vorrebbe dipingere la bocca “come Monet dipingeva un tramonto” e soprattutto il Grido, la materia del grido come visione dell’orrore, ispirato dall’urlo della madre nella Strage degli innocenti di Poussin e dalla famosa sequenza della nutrice nel film “La Corazzata Potemkin” di Eisenstein. I colori sono tetri, straziati, viola acidi mescolati ad un magma scuro e malsano.

 Francis Bacon sbarca sulla scena dell’arte dopo gli studi alla Dean Close Schoool di Chestelham e dopo una serie di viaggi in Irlanda, in Germania, nell’amata Francia. L’arte di questo periodo tradisce uno sguardo al cubismo sintetico di matrice picassiana e agli artisti che più lo hanno ispirato, Giacometti, Soutine, Michaux, Toulouse-Lautrec. Nel 1945 la Lefevre Gallery di Londra espone il trittico “Three Studies for Figures at the Base of Crucifixion”, con cui ha inizio la sua consacrazione artistica. Nel 1948 il Museum of Modern Art di New York acquista “Painting 1946”, nel 1953 la Tate Gallery di Londra  acquisisce “Three Studies for Figures at the Base of Crucifixion”. Nel 1954 rappresenta l’Inghilterra alla Biennale di Venezia assieme a Lucien Freud, Reg Butler, Ben Nicholson. È del ’57 la sua prima personale a Parigi alla galleria Rive Droite, nel 59 rappresenta la Gran Bretagna alla Biennale di San Paolo in Brasile, nel  ’71 la grande retrospettiva al Grand Palais. Da allora espone nei più importanti centri mondiali dell’arte contemporanea, in Giappone (83), a Mosca (88), in USA a Washington e a New York (’89)…

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