Fra le donne che vivevano e lavoravano a Kabul, anche lei, l’artista e fotografa Rada Akbar. Queste sono immagini di askanews dello scorso giugno, due mesi fa, quando ancora la riconquista dei talebani sebbene probabile non era una certezza; una cappa nera sul futuro, tante le domande che si faceva.
Trentatré anni, Rada Akbar anche nel 2021 ha tenuto una mostra come ogni 8 marzo, quest’anno con le sedie vuote di giornalisti e attivisti morti nei mesi precedenti. In giugno, le sue erano ancora parole di speranza: “C’è un equivoco a livello mondiale sulle donne afgane: si pensa che siano vittime e debbano essere salvate. O che non siamo in grado di definire le nostre priorità. Io volevo cambiare questa percezione. Perché la storia delle donne afgane non comincia dopo il 2001; abbiamo una storia ricca e lunga”.
Ma la paura del futuro era più tangibile ogni giorno. Cresciuta come rifugiata in Pakistan, tornata in patria da ragazza con i genitori che speravano in un futuro migliore, due mesi fa Rada Akbar diceva anche: adesso la situazione è più buia di quando fuggimmo allora. “Questi giorni sono molto duri. Mi sento molto vicina alla morte. Ogni giorno è come fosse l’ultimo. Potranno uccidermi o rimuovermi, il mio corpo fisico, ma non potranno mai uccidere il mio spirito. Non potranno rimuovere o cancellare i miei pensieri. I miei pensieri passeranno alla prossima generazione con o senza di me. E io non li perdonerò mai”.