Vivienne Westwood, in libreria un volume che raccoglie tutte le collezioni della stilista, pioniera e rivoluzionaria della moda
«Se potessi tornare indietro sarei un’eco-guerriera»
– Vivienne Westwood
Unica, iconica, leggendaria, grande (grandissima!), selvaggia, rivoluzionaria, sovversiva… Sono tanti gli aggettivi che possiamo attribuire a Vivienne Westwood, e – una volta tanto – calzano tutti alla perfezione. La sua visione della moda, eccentrica e radicale, l’ha resa una delle stiliste più influenti della contemporaneità, e il suo brand (inseparabile dalla sua persona) uno dei protagonisti della cultura pop in tutto il mondo. È uscito da poco in libreria (con Edizioni Ippocampo) un volume che raccoglie tutte le sue collezioni (tutte!) commentate in maniera dettagliata, con un’ampia introduzione che analizza la sua storia e il suo lavoro. Un libro imperdibile per capire una pagina fondamentale della cultura visuale dagli anni ’80 ad oggi. Slurp!
Vivienne Westwood ha infranto valori e tabù, è stata punk e bohemien, dark e flamboyant, come ama ripetere, citando Bertrand Russell: «L’ortodossia è la tomba dell’intelligenza», e lei ortodossa non lo è mai stata. La sua non è “solo” moda, è una battaglia continua e indefessa contro l’ovvio, la noia e la banalità. Nelle sue collezioni confluiscono storia, arte, politica e ambiente, trasformando la sartorialità in un racconto, in una performance narrativa che travalica generi e media.
Mentre le passerelle accolgono il minimalismo lei riscopre il baracco e l’eccesso, quando a farsi spazio è l’immagine di una donna androgina e mascolina lei crea uno stile alternativo, morbido e romanticamente desueto. Mentre gli altri si fanno influenzare dalle tendenze più in voga lei decostruisce i modelli, strappa le stoffe, architetta nuove silhouette. Ogni suo cambio di rotta è una rivoluzione, libera e inaspettata.
Intellettuale ed eccentrica, Vivienne Westwood ha conquistato star, artisti, giovani chic e giovani alternativi, dai protagonisti dell’Upper East Side ai post-punk romantici dei manga di Ai Yazawa (Nana). Kilt, corsetti, crinoline, frustini, zeppe, anfibi, borchie: il suo alfabeto ha formato negli anni un linguaggio di stile inconfondibile e imitatissimo, una moda a sua immagine e somiglianza, tanto unica quanto amata (e invidiata).
Il suo debutto in passerella avviene nel 1981, ha 40 anni e una lunga esperienza nel settore sartoriale alle spalle, fa sfilare una collezione piratesca ideata assieme a Malcom McLaren (allora suo socio e fidanzato). È solo il primo passo di un percorso che l’ha portata a farsi vestale della controcultura e dello stile avantgarde, portando nell’alta moda – tra le altre cose – lo streetwear, i graffiti e le sneaker. Nel 1983 collabora con Keith Haring (collezione Witches), anticipa Fiorucci, Gaultier, Galliano, McQueen; mette il mondo della moda “letteralmente” sottosopra. Libera le spalle delle donne (costrette negli anni ’80 in spalline sempre più megagalattiche) e si ispira a Petruška, il balletto di Stravinskij, ibridandolo al tema dell’infanzia per introdurre la mini-crini: le crinoline incontrano la minigonna, Minni sfila in passerella.
Ogni sua collezione è una storia, come una vera autrice attinge dai temi a lei cari, gli smonta, li ibrida e li ricompone. Si fa ispirare da William Hogarth e William Blake, avvolge modelle e modelle in capi di tartan, tweed, stoffe scozzesi e irlandesi, lasciandosi suggestionare poi dall’antica Grecia e dal Rococò francese: Boucher, Fragonard e Watteau – la collezione Voyage to Cythera (prêt-à-porter autunno/inverno 1989-1990) prende il titolo da Imbarco a Citera (1717) di Antoine Watteau, quadro che rappresenta la partenza alla volta dell’isola, luogo di nascita di Afrodite; arlecchini e figure della commedia dell’arte (scappati dai quadri dell’artista francese) incontrano i temi omerici e la Grecia classica. La stilista torna a ispirarsi a Watteau anche negli anni a seguire, per esempio lo omaggia nella collezione prêt-à-porter primavera/estate 1996 (Les femmes ne connaissent pas toute leur coquetterie) con un abito da sera verde dai riflessi iridescenti indossato da Linda Evengelista, un capo ispirato al quadro L’insegna di Gersaint (1720) e al celebre ritratto di Madame de Pompadourdi François Boucher (1756). Ma questi sono solo pochi degli innumerevoli rimandi colti nel lavoro della stilista: arte e letteratura sono sempre al centro del suo personalissimo processo di decostruzione, come una modernissima Frankenstein scuce e assembla suggestioni distanti tra di loro, legandole tra loro col filo rosso della sensualità, della decadenza e della malinconia.
Con le sue creazioni attinge al passato, ma il suo sguardo è sempre rivolto al futuro, sia nella cratività, nella poetica e nell’etica del prodotto: «La rivoluzione climatica è punk. Il punk vive! Stesso atteggiamento, ma con idee più sviluppate, più solide e spero più efficaci nel cambiare la Terra di quanto non siano state in passato». Il suo è un impegno costante e coerente: sostiene attivamente la campagna Save The Arctic di Greenpeace per interrompere le trivellazioni nell’Artico, ha creato t-shirt con Marie Claire e People Tree per raccogliere fondi destinati alle tribù della foresta pluviale, con la sfilata Red Label (primavera/estate 2016) ha portato in passerella modelle che hanno manifestato contro il fracking. Non chiamatela stilista, non chiamatela creativa, non chiamatela rivoluzionaria, chiamatela eco-guerriera.