Voyage/Voyage curata da Porter Ducrist è fruibile fino al 16 ottobre presso i locali romani di Spazio In Situ, che si reinventano come spazi di esplorazione attiva.
Un viaggio riserva inattese sorprese, follie sopite e inevitabilmente numerosi ostacoli che il più delle volte sembrano impedire l’avanzamento verso una linea dell’orizzonte che tende a farsi sempre più sottile. In un presente fatto di attese, dove il desiderio d’evasione e di sperimentare cresce in maniera spasmodica, viaggiare diventa un atto simulacro di una società alla deriva, incapace di mettere radici, di rapportarsi con i confini del proprio vivere quotidiano, perdendo senza soluzione di continuità il contatto con l’identità del proprio sé.
È in questo frangente decisamente poco rassicurante, dominato dall’incertezza e dell’imprevisto, che si configura la mostra Voyage/Voyage curata da Porter Ducrist e fruibile fino al 16 ottobre presso i locali romani di Spazio In Situ, che si reinventano come spazi di esplorazione attiva.
La possibilità di tracciare un percorso in autonomia per focalizzarsi sui dettagli del paesaggio espositivo dai quali si viene maggiormente attratti si pone nel solco di quell’azione di casualità ed entropia generatrice di condizioni e premesse capace di sviare le intenzioni, di cambiare i percorsi, concretizzando di volta in volta desideri e volontà che si trasfigurano in scelte e azione fisica.
Imbattersi nelle opere di Martin Jakob, Simone Cametti, Bertille Bak, Pierluigi Fabrizio, Daniel Ruggero, Thomas Wattleble Giovanni Cataldo e Luca Grimaldi pone di fronte a non meditati anfratti della coscienza e dell’Io; relazionandosi con i luoghi messi in scena è impossibile evitare di rapportarsi con gli ambienti interni che delineano la personale identità del singolo. Si è in presenza di una fuga prospettica che attraversa le vedute per trapassare le intenzioni e le convinzioni di coloro che si trovano di passaggio nello spazio espositivo. Emblema del viaggio e del cambiamento che lo accompagna diviene Charriage: CH-2000 – IT-00133 di Jakob che con la sua spiazzante semplicità e inequivocabile sintesi riesce a procurare un taglio netto nella concezione del viaggio, richiamando allo stesso tempo l’operatività processuale della mostra bernese del 1969 When Attitude Become Forms. Il gesso imprigionato dai contorni della cassa inverte la sua condizione di reclusione, accomodandosi e abitando attivamente quello spazio angusto con disinvoltura, amplificando la sensibilità alle oscillazioni del movimento del trasporto in itinere, che tra uno scossone e un altro lo conduce fino alla sua attuale ubicazione in galleria. Il territorio desertico tracciato dal materiale grezzo si cristallizza in un’istantanea del percorso sottolineando il ruolo della processualità, mentre le crepe createsi sulla superficie mettono in evidenza la possibilità del verificarsi dell’incidente al quale si espone il contenuto in divenire della cassa. Vicino a questa dinamica della fragilità si accosta tematicamente l’opera di Cataldo Lowrider, che riverbera monumentalmente quel senso di inquietudine che si verifica nel momento dell’impatto con la dimensione ignota del destino. La falce di luce irradiata dalla superficie smaltata di ciò che si rivela essere un guard rail impiegato per i crush test entra a far parte di una nuova segnaletica dell’esistenziale, nella quale la vividezza del colore ribalta la sua immediata lettura di vitalità nel taglio preciso di una fine giunta al suo arrivo. L’impetuosità del vivere si confronta con gli ostacoli del cammino instaurando il regime di una follia che si fa condizione di sopravvivenza al rigido registro della certezza, invocando l’irripetibilità di ogni attimo. Guardando in altra direzione, la relazione tra artificio e realtà trova nuove derive in Paesaggio 13-09-2013 di Cametti, attraverso la sublimazione dell’azione nel linguaggio pittorico, che nella sua poeticità ricorda lontanamente il fare boettiano. L’artista supera il mezzo intervenendo direttamente nell’ampiezza del paesaggio brullo, dai confini vagheggiati e non definiti, avvalendosi di un fare che richiama la strumentazione della post-produzione, in una prospettiva di rovesciamento e riassorbimento delle tecniche, sottolineando il ruolo attivo dei nuovi media all’interno della strutturazione dell’azione finzionale. Finzione e verità si mescolano saturandosi vicendevolmente in un ambiente liminale di estrema poesia. Nelle immediate vicinanze, a contrapporsi è l’intervento di Luca Grimaldi 2,5 X 2,5 che, instaurando una fruizione sfalsata nell’atipicità del suo punto di vista, scardina i canoni di visione tradizionale del soggetto paesaggistico attraverso un’azione di riduzione di ampiezza visiva direttamente orientata alla realtà del dipinto. I termini e le condizioni della realizzazione vengono modificati dall’interno del loro statuto prospettando un capovolgimento nell’orizzonte dell’azione fruitiva e, ancor di più, nella concezione semantica della stessa veduta, divenuta simbolo.
A indagare la zona d’ombra della sosta è invece la serie fotografica di Pierluigi Fabrizio che immortala i luoghi di atemporalità delle stazioni di servizio in 001 –GAZOLINE STATION-, #002 –ADBLUE STATION e #003 –OPERA STATION-. Le fotografie sono dense sia nell’aspetto formale sia in quello semantico, sebbene la superficie sembri quasi ostentare una facilità di lettura che acceca per un attimo la reale comprensione. Luoghi di confine sui cigli delle strade si materializzano nella sostanza di apparizioni latenti attraversate da luminose scie, tracce di passaggi temporanei che nella distanza del giorno tracciano i margini di non-luoghi notturni. Il fascino per l’oscurità dell’annullamento identitario, evocato dalla suggestione di questi luoghi di transizione, è amplificato dalla scelta del fotografo di scattare la sequenza durante il periodo di lockdown.
L’interazione tra il motivo del non-luogo e quello della produzione è la miccia che accende la videoperformance dal titolo evocativo Tour De Babel, realizzata dall’artista Bertille Bak nell’ambito di una residenza artistica nella località di Saint-Nazaire. Durante i venti minuti di riproduzione si assiste alle operazioni volte alla realizzazione degli interni di una nave da crociera. L’insistenza sulle congiunture transitorie che si instaurano tra le varie personalità lavorative, che pezzo dopo pezzo contribuiscono a costruire i vari impianti di ogni ambiente, mette in evidenza le conseguenze della controparte dell’utopia che si genera nello scarto dello slabbramento tra il desiderio ideale del viaggio di lusso, auspicato dai passeggeri-consumatori, e la realtà lavorativa fatta di gesti ripetitivi e procedure alienanti a cui vengono sottoposti gli addetti ai lavori. La riflessione apre il dibattito su effetti e conseguenze derivanti dalle aspettative illusorie di un élite in iperbolica espansione dedita a svaghi e ricreazione, esacerbando la produzione di un sistema al limite della sua capacità produttiva.
Il prodotto dell’azione performativa di Thomas Wattebled vibra di sua sottile ironia in SHIFT prélude, denunciando la sfrenatezza di un consumismo in movimento nell’accumulo rituale che esso genera e perpetra all’interno di una ridondante messinscena teatrale fatta di ininterrotti arrivi e ripartenze a opera di riders, che corrono avanti e indietro con i loro scooter, innalzando la loro reliquia turistica nel loop di una processione. Il legame che intercorre tra dinamica del viaggio e produzione di massa viene focalizzato mediante la simbologia della borsa di consegna che, nel momento del suo assemblamento nei contorni di una scultura totemica, si fa marchio di fabbrica di un’operatività liminale tra l’eccesso produttivo e la fragilità insita in un mondo sempre in costante tendenza. Un meccanismo simile, ma stavolta improntato prevalentemente verso un movimento a ritroso, è proposto dallo stesso artista nel suo autoritratto 10 sec. Qui i giochi della visione e della riproduzione entrano in tilt poiché la loro funzione viene negata dall’uso improprio del mezzo di ripresa, con il quale l’artista si riprende scappando dall’obiettivo. Il formato del passe-partout, che rimanda alla tradizione settecentesca dei ritratti da viaggio, non fa altro che amplificare l’effetto di distanza e perdita dell’immagine entrando in collisione con una nuova tipologia figurativa che incede nel reale sottraendosi. L’inaspettato cortocircuito evidenzia come la fuggevolezza delle intenzioni e l’incessante scorrere del tempo nel loro rapportarsi possano dar luogo al verificarsi dell’imprevedibile, e come quest’ultimo riesca a innescarsi nell’ampiezza di un battito di ciglia.
Tutte le opere convergono nel cuore dell’esposizione chiaramente identificato in Urbangame Car_version Transformers di Daniel Ruggero. Dalla Svizzera il Piaggio Ape percorre le strade e i paesaggi del territorio italiano fino a raggiungere la sua destinazione presso Spazio In Situ, divenendo al contempo, nella sua dinamica di svolgimento attivo, opera d’arte e spazio di esposizione mobile. Il rito di passaggio della metamorfosi, compiutosi a contatto con il vento lungo il tragitto, si evidenzia nelle trasformazioni organiche sul telaio del veicolo: le porte si aprono come ali di insetto pronte ad accogliere le azioni di artisti e creativi. L’Ape delinea un nuovo statuto espositivo agendo da catalizzatore attivo nel tentativo di normativizzare la destabilizzazione, l’oscillazione e la flessibilità delle infinite possibilità attraverso una dimensione dinamica, aprendo strade nuove di operare con gli artisti. Al termine del percorso Verre_version Venus Capitoline, dello stesso artista, regala un ultimo sprizzo di sorriso attraverso una raffinata denuncia che traspare a intermittenza nell’opacità di bicchieri-souvenir. Effetti e controindicazioni della globalizzazione si manifestano nella traslitterazione culturale della nudità artistica, osteggiata da alcune impostazioni culturali come nel caso del presidente iraniano in visita nel 2016 ai Musei Capitolini. Durante quell’episodio, le “grazie” della Venere Capitolina accusate di impudicizia vennero celate. Ironizzando, l’artista mette sotto scacco matto le contraddizioni delle visioni culturali in un gioco di trasparenze che ripristina la visione originale dell’immagine scultorea.
In un percorso imprevedibile, in bilico tra la continuità di una strada dalla destinazione certa e le infinite variabili del caso, la progettualità del curatore Porter Ducrist riesce, attraverso un’attenta pianificazione e programmazione, a creare uno spazio esplorativo in itinere e a tematizzare un argomento di ampio respiro come quello del viaggio senza lasciarsi andare a banali generalizzazioni, permettendo che la perdita di coordinate diventi premessa per la costruzione di una visione del tutto personale all’interno di un orizzonte formale post-romantico in grado di spostare l’attenzione convergendola sulla flessibilità di aspetti definiti del viaggiare. Nel ritmico andamento del movimento, il passaggio da un istante all’altro porta a definire la consistenza dell’essere nella sua essenza di mutamento e nel suo grado di adattamento costante alle circostanze, imponendo un confronto diretto con la quotidiana che esprime le sue migliori questioni all’interno dei confini labili di Voyage/Voyage.
Questo contenuto è stato realizzato da Erika Cammerata per Forme Uniche.
Voyage/Voyage
A cura di Porter Ducrist
Spazio In Situ – Via San Biagio Platani, 7 – Roma
Dal 26 giugno al 16 ottobre 2021
https://www.instagram.com/spazioinsitu/