Bisogni e desideri: Società, consumi e cinema in Italia dalla Ricostruzione al Boom. In libreria
Ricostruire l’immaginario di un Paese durante una transizione culturale attraverso il cinema? Questo l’obiettivo di Bisogni e desideri: Società, consumi e cinema in Italia dalla Ricostruzione al Boom, libro di Agnese Bertolotti che riflette in maniera inedita sui concetti di bisogno e desideri attraverso il diario collettivo della produzione cinematografica.
Il volume (Mimesis Edizioni) indaga i modi tramite i quali il cinema si è fatto stato portavoce delle esigenze materiali ed economiche della società italiana durante quel lasso di tempo che va dall’immediato dopoguerra agli anni del boom economico. Sono stati anni di profondi stravolgimenti per il Paese, che da rurale in poco tempo è diventato una potenza industriale, da provinciale a urbanizzato, anni in cui il cinema ha accompagnato questi mutamenti, diventando sia protagonista attivo che testimone dell’avvento della società del consumo italiana.
Il passaggio di quegli anni è uno snodo centrale per lo sviluppo del panorama sociale italiano, che vede per la prima volta l’affermarsi della cultura di massa. Andare al cinema era un’attività sociale, una finestra sul mondo e sulla modernità, uno strumento di escapismo e, anche, uno stimolo erotico. Come spiega l’autrice «i film sono […] “segno” della realtà da cui prendono corpo e contribuiscono, in maniera più o meno volontaria, alla definizione dell’immaginario collettivo; sono testimonianza sociale in grado di cogliere e restituire aspetti reiterati che costituiscono la modalità specifica con cui una società riproduce se stessa».
Alla fase di ricostruzione postbellica è seguita una rapida crescita che ha portato una migrazione economica dal Sud al Nord Italia (come racconta Rocco e i suoi fratelli di Visconti), un innalzamento del tasso di alfabetizzazione e il sopraggiungere di un nuovo benessere. Gli italiani passano allora, spronati anche dall’evoluzione della produzione cinematografica, dal mondo del bisogno a quello del desiderio.
Il cinema del Neorealismo intercetta alla perfezione il “momento del bisogno”, ma viene presto soppresso in favore di una visione cinematografica più ottimista, con uno sguardo più speranzoso rispetto al futuro: si fa spazio nelle sale il Neorealismo rosa. Se da una parte il Neorealismo di De Sica e Visconti ha reso famoso il cinema italiano in tutto il mondo, Stato & Chiesa non gradirono il ritratto oltraggioso di quell’Italia ferita, povera e allo sfascio. Giulio Andreotti, allora sottosegretario allo spettacolo, prende pubblicamente le distanze da film come Umberto D e presentata una legge per sostenere e promuovere la crescita del cinema italiano (contro l’avanzata di quello americano e degli autori neorealisti): questa legge prevedeva finanziamenti pubblici solo per le sceneggiature approvate da una commissione statale. Al bando quindi il pessimismo (realismo) in favore, scrive Andreotti, di «un ottimismo sano e costruttivo che aiuti veramente l’umanità a sperare».
Il libro di Agnese Bertolotti unisce l’analisi sociologica alla ricerca storica, andando a definire e delineare la dimensione sociale di quel fenomeno articolato che è il cinema, costruendo un percorso articolato che unisce diversi approcci, dall’analisi dei testi filmici (compresi i dialoghi), allo studio della ricezione, passando per storia economica e politica. L’autrice prende in esame numerosi film – da Miseria e nobiltà a Poveri ma belli, da I motorizzati a Un americano a Roma – concentrandosi soprattutto sulle commedie, «con l’obiettivo – come spiega Stephen Gundle nell’introduzione – di esaminare la rappresentazione la rappresentazione di situazioni e di tipi umani oltre all’impatto di oggetti materiali e mutamenti di mentalità».
Ne risulta un ritratto complesso, profondo ed estremamente lucido – che identifica i gli snofi centrali – di un’epoca fondamentale per lo sviluppo italiano, sia a livello economico che identitario; con un approccio nuovo ai temi del consumo, visto solo non in termini numerici, ma anzi piuttosto come propulsore di immaginari, di orizzonti diversi e desiderati, in grado di ri-definire una collettività e il modo in cui questa si racconta. Poi arriva la TV, al cinema arriva l’inconmunicabilità di Antonioni, il passato e il futuro si fanno sempre più distanti, nel messo un presente che, una volta appagato il desiderio del consumo, per la prima volta, inizia a interrogarsi su sé stesso; allora il cinema inizia a raccontare un’altra storia.