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DENTRO LA FIERA. Cosa è successo a MiArt 2021. Lo sguardo privilegiato del gallerista

Attesi Fontana (1961), da Tornabuoni Attesi Fontana (1961), da Tornabuoni
Attesi Fontana (1961), da Tornabuoni
Attese Fontana (1961), da Tornabuoni
Sembrava fossero passati anni. E lo sono stati. Forse un decennio. Come farsi improvvisamente belli per un appuntamento quasi insperato ma desiderato. Miart 2021, conclusosi domenica 19 settembre dopo quattro giorni di esposizione, ha inaugurato, ce lo auguriamo, la nuova grande stagione delle Fiere d’Arte.

Miart è stato un termometro molto preciso ed accurato. Ci sono ancora tante regole da rispettare ma grazie ad un sistema efficiente intrecciato tra organizzazione fieristica, il rispetto e il buonsenso di galleristi e pubblico, il risultato è stato molto buono.

Il primo giorno sono entrati allestitori, tecnici, guardie e guardiani. Nastri, carta d’imballo e viti. Un mondo che pareva vivere solo per piccole commissioni, a domanda arrivata. L’obiettivo risulta semplice ma non lo è: assicurazione, qualità dell’opera, il suo traporto, la sua conservazione, documentazione allegata e le sue provenienze. C’è una tela gigante – dove tutto ciò è custodito – dietro ogni scultura, ogni pezzo di design, ceramica, oro, dipinti, sculture ed installazioni. Anni di pazienza, come tutti, per offrire ed esporre cosa è l’arte oggi. Ossia un bene di tutti che deve avere, tanto quanto la musica e la danza, il suo palcoscenico.

Una fiera è una opportunità museografica. Giacche e tacchi, cravatte e papillon. Questo è l’abito che merita. Il bello per il bello. Non c’è mai e non deve esserci mai nessun trucco. Non esistono prestigiatori tra di noi. Noi che viviamo internamente il sistema dell’arte sappiamo che l’unico modo per esporre l’arte è accompagnarla, con educazione e rispetto, da una provenienza ad un’altra, con la speranza che sia la più bella, la più gentile, la più gradevole con cui collaborare. Non ci sono fiocchi e luci di Natale. Ancora c’è da tanto da lavorare per far apparire il lavoro delle gallerie come una risorsa per lo Stato, come un patrimonio pubblico, come un habitat naturale dove far crescere investimenti e garanzie utili a migliorare il Made in Italy nel mondo.

Il pubblico è vivace e sorridente, pazienta sulle opere, e con i dovuti distanziamenti, tutti hanno potuto esprimere una riflessione con tranquillità. Come essere in una festa di compleanno. Incontri i vecchi amici e ti presenti a nuovi. Parli con collezionisti, studenti, storici dell’arte, art dealer, referenti di banche e musei, appassionati. Una arte-catena dove sedersi. Anche in silenzio.

Le mascherine sono state tante. Nessuna maschera, però. Nelle fiere ognuno si mostra per quello che è. I suoi gusti e le sue idee. Tutti a condividere la grande opportunità popolare dell’arte: parlare di tutti noi.

E così improvvisamente diversi movimenti d’arte – anni luce differenti- dialogano tra di loro. Sembra tutto naturale. Arte è dello spettatore. Il giudizio è nell’interpretazione del suo valore e della sua qualità. La fiera d’arte è l’esposizione nazionale e internazionale di un sentimento e dello spirito nel quale nasce. Quelle opere non emergono come germogli cresciuti sotto piogge battenti. Nascono da ritrovamenti, da analisi scientifiche e analitiche, dalla muffa degli archivi storici, da lampade ultraviolette, da restauratori, storici e famiglie. Si i quadri entrano ed escono dalle famiglie. Da uomini e uomini, da donne e donne.

Miart 2021 ha ricordato tutti noi quanto l’arte sia fragile, ancora oggi. Fragile in ogni momento. Covid o non Covid. È una tutela continua. L’arte tutela lo spettatore. Lo spettatore tutela l’arte. Questo è così socialmente e psicologicamente bellissimo. Miart ha illuminato la strada. Non rimane che continuare tale esplorazione.

LOVE di Nannucci del 1897 (Astuni)
Mia Madre di Boccioni del 1907, da Bottegantica
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Sitzender Frauenakt di Schiele, da Matteo Lampertico
Sitzender Frauenakt di Schiele, da Matteo Lampertico

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