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Art Basel 2021: la riconferma della madre di tutte le fiere di Arte Contemporanea

Maurizio Cattelean, Night (2021) Massimo De Carlo Maurizio Cattelean, Night (2021) Massimo De Carlo
Maurizio Cattelean, Ghosts+ Found Work (2021) Marianne Goodman
Maurizio Cattelean, Ghosts+ Found Work (2021)
Marianne Goodman

Domenica 26 settembre si è chiusa la settimana di Art Basel 2021. Slittata dalla tradizionale data di giugno ad un edizione settembrina, incerta fino a fine estate, torna fisicamente dopo un anno congelato dalla pandemia. Un anno oscurato, in cui il trade dell’arte ha continuato comunque a transare, con un mercato web saldamente attestato sopra il 30% e lo zoccolo duro di miliardari, per antonomasia il parterre di big spender ideali per Art Basel, incrementato del 7% e con una spesa media che registra un +10% nel corso del 2020, secondo il rapporto della UBS.

David Hockney Pictures at an Exhibition ( 2020-2021).
Unlimited

Ciononostante o forse proprio per questo, c’era grande attesa perché, quella che viene considerata “la madre di tutte le fiere d’arte contemporanea” come l’ha definita il gallerista londinese Pilar Corrias, tornasse in chiaro. Tornasse cioè ad essere incontro fisico, propulsivo, di persone, idee, collaborazioni. Per garantirlo il direttore globale di Art Basel, Marc Spiegler, si è preoccupato innanzi tutto di mettere in sicurezza totale la fruizione fisica e in seconda battuta di gestire la transizione tra le edizioni pre-covid, in cui l’allocazione spazi sembrava incisa nella pietra come le tavole di Mosè, ad un edizione in cui è stato necessario scoprire una nuova flessibilità.

Messeplatz. Installazione e performance dell’artista Monster Chetwynd, Tears (2021) durante la settimana di Art Basel

Flessibilità e condivisione, forse le chiavi di lettura principali di questa Art Basel 2021, piena di segnali di un futuro rinnovato. Il “bisogna che tutto cambi perché niente cambi” di gattopardiana memoria, si attaglia benissimo questa edizione post-pandemica. Si diceva sicurezza innanzi tutto e qui la mitica precisione svizzera ha funzionato come un orologio: è stato allestito un padiglione Covid sul piazzale per monitorare giornalmente i visitatori tramite braccialetto multicolor.

Una messa in sicurezza che ha significato certamente anche meno parties, meno gentil fanciulle arrampicate su tacchi chilometrici, più millennials in sneakers (la generazione di collezionisti nati tra gli anni ’80 e i’90) che indicano un target ben preciso, rappresentato soprattutto , ma non necessariamente, dal piano superiore, con parecchie new entry a livello di gallerie. Si, perché il secondo grande task è stato per Spiegler la ridistribuzione degli spazi, mantenendo inalterato l’altissimo livello qualitativo della Fiera, quello che la rende la più importante del mondo. Alcuni espositori storici non erano presenti, altri volevano mantenere un presidio, ma con un investimento contenuto, quindi la selezione è diventata una ridistribuzione dinamica dei pesi e questo, si sa, porta con sé sempre un profondo valore concettuale. Quando si lavora sulla struttura, sull’archetipo, anche il messaggio formale si innerva.

Maurizio Cattelean, Night (2021) Massimo De Carlo
Maurizio Cattelean, Night (2021)
Massimo De Carlo

Nuovi ingressi dunque, 24 nuove gallerie tra le quali Isla Flotante di Buenos Aires nata nel 2011, ma anche collaborazioni inedite tra gallerie che condividono lo stesso stand (in via eccezionale solo per questa edizione), creando contaminazioni interessanti che si propagano agli spazi circostanti come per osmosi.

Nell’ala destra del piano terra, ad esempio, tradizionalmente riservato ai Moderni, troviamo un meraviglioso e storico De Chirico ( I Gladiatori del 1928) della Galleria dello Scudo, specializzata in master pieces del moderno, a pochi passi dal corrosivo Hours of Devotion (2008) di Tom Sachs, artista newyorkese contemporaneo rappresentato dallo stand in condivisione di Sperone Westwater e David Nolan.

Yuli Yamagata, Boca escargot (2021)Sheila Hicks

Il contrasto è inedito, ma per nulla stonato, anzi suona rivitalizzante nel percorrere una fiera monstre di 27.500 mq e 272 gallerie, che richiede almeno un paio di giorni per essere visitata con attenzione. Attenzione che, quest’anno, risultava anche maggiore, perché tutti i lavori più recenti, datati 2020-2021, diventano documento, testimonianza, memoria, di un eccezionale momento storico in cui sentimenti come paura, alienazione, isolamento sono stati avvertiti, in contemporanea, da una moltitudine globale.

Non è un caso, forse, che molte di queste opere parlino il linguaggio della lentezza, del lavoro lungo, meticoloso e manuale. Un operazione eseguita direttamente sui materiali, sulle texture, spesso su base tessile: arazzi, intrecci, patchwork, intarsi, realizzati da entrambi i gender,ma in generale su una grande varietà di supporti materici e con tecniche che richiedono tempo e concentrazione.

Doug Aitken, I Lost Track (2020) Yann Gerstberger

Un esercizio quasi zen, capace di cristallizzare nell’operosità artistica il senso di impotente attesa che ha paralizzato tutti, in questi lunghi 18 mesi. Esemplare in questo senso la scultura Fraught Times (Tempi difficili) di Philippe Parreno da Pilar Corrias: un albero di Natale, rappresentato al momento del suo declino, persi ormai gran parte degli aghi, rimasto solo qualche addobbo, in attesa di venire spogliato del tutto e buttato in qualche cassonetto. Sembra totalmente, assolutamente vero, anche ad un metro di distanza. Solo avvicinandosi e toccandolo, ci si rende conto che è interamente realizzato in metallo. L’artista ci ha messo due anni, due anni di lockdown, a realizzarlo, ma in foto non lo puoi capire, è solo condividendo lo spazio reale con l’opera, che questa ti tocca, ti punge, nel profondo

Anche i grandi formati di Unlimited, sezione che quest’anno si presentava con ben 62 progetti dedicati, vivono di reale più che di digitale. Innanzi tutto banalmente per le dimensioni, in seconda battuta più sottilmente per la prospettiva, che in alcune opere è il convitato di pietra pensato ed incluso fin dall’inizio. Come nella monumentale opera di Hockney che accoglie all’ingresso Pictures at an Exhibition ( 2020-2021). Se non ci fosse una fila di spettatori in carne ed ossa seduti davanti al quadro, si perderebbe quella significativa triangolazione di sguardi : artista/personaggio ritratto/spettatore che, da Van Eyck a Velasquez, ci inchioda all’opera diventando metafora stessa del fare arte.

Tom Sachs, Hours of Devotion(2008)
Galleria dello Scudo Sperone Westwater & David Nolan

Insomma una fiera vitale, vibrante a livello di offerta, in linea con questi tempi tormentati e cangianti di cui tocca i temi nevralgici: dalla differenza di gender con un interessante accento sulla visone femminile ( richiamato anche dalla mostra Close Up alla Fondazione Beyeler), ai temi sociali e ambientali come il “black lives matter” molto presente e il degrado del pianeta.
Forse sono mancati i collezionisti americani e inglesi, forse qualche galleria top è stata cauta tenendosi i pezzi da novanta per il 2022, magari i fatturati non sono tornati alla fase pre-covid, ma la voglia di comunicare, di allacciare legami, creare alleanze, è viva e vegeta, è un seme fecondo piantato in un terreno fertile.

Vessillo di questa edizione ibridata e contaminata nella sua migliore accezione, il lavoro dell’artista italiano più smart e visionario da decenni: Maurizio Cattelan. La trilogia Smoke già presentata all’Hangar Bicocca, viene rivisitata e disarticolata in episodi in tre diverse gallerie: Massimo de Carlo di Milano, Perrotin di Parigi e Marian Goodman di New York. La riflessione di Cattelan parte da un altro momento storico in cui il comune sentire si è sintonizzato su un un’unica, sofferta, condivisa lunghezza d’onda. L’attacco alle torri gemelle di New York, nel 2011. Vent’anni fa. Allora come ora, un sentimento di comunità nel percepire la violenza, la paura, la perdita, l’alienazione dell’evento traumatico.

Giorgio del Chirico,I Gladiatori (1928)

Nell’opera Night, esposta da De Carlo, una bandiera americana in un monocromo, luttuoso all black, viene crivellata da proiettili di varie dimensioni. In Ghosts + Found Work da Marian Goodman, Cattelan rivisita con il logo “I love New York” un objet retrouve: una tela istoriata di graffiti che ricordano la tragedia delle due torri.

Da Perrotin invece il terzo episodio Brother si fa intimista, riflettendo sulla possibilità del singolo di partecipare, di essere nel dramma. Un opera, questa di Cattelan, che è un trittico e un unicum, che per farsi leggere compiutamente deve uscire dal luogo riservato e dedicato della singola galleria e dialogare con lo spazio metafisico dell’intera fiera, quella di Basilea, che è e si riconferma come “la madre di tutte le fiere d’arte contemporanea”.

 

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