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Michelangelo e il tormento del marmo. Concluso il restauro della Pietà Bandini

Michelangelo, Pietà Bandini, Museo dell’Opera del Duomo. Courtesy of Museo dell’Opera del Duomo. Foto: Claudio Giovannini Michelangelo, Pietà Bandini, Museo dell’Opera del Duomo. Courtesy of Museo dell’Opera del Duomo. Foto: Claudio Giovannini
Michelangelo, Pietà Bandini, Museo dell’Opera del Duomo. Courtesy of Museo dell’Opera del Duomo. Foto: Claudio Giovannini
Michelangelo, Pietà Bandini, Museo dell’Opera del Duomo. Courtesy of Museo dell’Opera del Duomo. Foto: Claudio Giovannini

In seguito a restauro lungo due anni, la scultura realizzata da Michelangelo per la propria tomba è di nuovo visibile al Museo dell’Opera del Duomo di Firenze.

Una Pietà scolpita da un unico blocco di marmo. L’opera mostra il corpo morto di Gesù sorretto dalla Vergine Maria e da Maria Maddalena, mentre il fariseo Nicodemo, il cui volto è stato modellato su quello di Michelangelo, incombe sopra di loro. Sebbene tecnicamente incompiuta, la scultura conserva un fascino speciale per via del suo legame con la morte dell’artista.

Michelangelo ha lavorato all’opera dal 1547 al 1555 – allora aveva settant’anni – prima di sentirsi frustrato dalle difficoltà del materiale e abbandonarlo. Lo racconta anche Giorgio Vasari nelle Vite. Scrive che il marmo utilizzato da Michelangelo per l’opera era duro e crivellato di fessure. Ogni volta che lo colpiva con lo scalpello, si liberavano scintille fastidiose.

Attraverso ispezioni diagnostiche, i ricercatori hanno stabilito che la pietra proveniva da una cava di proprietà dei Medici a Seravezza. Un sito diverso rispetto a quello da cui Michelangelo ottenne la maggior parte del marmo che utilizzò. Ovunque al suo interno c’erano sacche di pirite, il che spiegherebbe le scintille.

Dopo aver rinunciato alla scultura, Michelangelo la affidò al suo servitore, che a sua volta passò l’opera a Tiberio Calcagni, ex allievo dell’artista che continuò ad incidere l’opera. Intorno al 1560 la scultura fu acquistata dal banchiere Francesco Bandini. (Per questo motivo, la scultura è spesso indicata come la Pietà Bandini).

Restauratori al lavoro sulla Pietà di Michelangelo. Courtesy of Museo dell’Opera del Duomo. Foto: Claudio Giovannini
Restauratori al lavoro sulla Pietà di Michelangelo. Courtesy of Museo dell’Opera del Duomo. Foto: Claudio Giovannini

Grazie al finanziamento della Fondazione Friends of Florence, la conservazione della scultura – di quasi 3 tonnellate e alta 2 metri e 25 centimetri – è iniziata nel novembre 2019. É la prima volta che l’opera viene sottoposta a un importante restauro in quasi 470 anni.

Gli esperti restauratori hanno lavorato in un laboratorio installato al Museo dell’Opera del Duomo, sede dell’opera negli ultimi quattro decenni. I lavori necessari erano diversi. La Pietà giaceva scolorita sotto vai strati di polvere e cera protettiva; lo stucco usato per ricongiungere pezzi rotti era estremamente visibile; un calco in gesso eseguito sulla scultura nel 1882 aveva lasciato evidenti macchie bianche e secche.

Ora, dopo diversi ritardi causati dalla pandemia, gli interventi sulla Pietà sono stati completati e la scultura appena restaurata sarà esposta per sei mesi nello stesso laboratorio che l’ha riportata in vita, offrendo agli spettatori un raro dietro le quinte.

Questa è l’opera più personale di Michelangelo, non solo perché include un suo autoritratto ed era destinata alla sua tomba, ma perché esprime il rapporto tormentato che aveva con il marmo”, ha detto Timothy Verdon, direttore del Museo dell’Opera del Duomo.

Restauratori al lavoro sulla Pietà di Michelangelo. Courtesy of Museo dell’Opera del Duomo. Foto: Claudio Giovannini
Restauratori al lavoro sulla Pietà di Michelangelo. Courtesy of Museo dell’Opera del Duomo. Foto: Claudio Giovannini
Photo: Alena Fialová. Photo: Alena Fialová
Courtesy of Museo dell’Opera del Duomo. Photo: Alena Fialová

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