Il 21 ottobre 1984 muore a Neuilly-sur-Seine Francois Truffaut. Insieme a Jean-Luc Godard, Claude Chabrol, Jacques Rivette ed Éric Rohmer è stato tra i fondatori del primo movimento cinematografico a testimoniare in tempo reale l’immediatezza del divenire, la realtà in cui esso stesso prende vita: la Nouvelle Vague.
I cinque si conoscono dagli anni ’50; frequentano gli stessi cineclub, scrivono sui Chaiers du cinemà e sul settimanale Arts. Nell’ambiente li chiamano “i giovani turchi” – un riferimento ironico al movimento politico ottomano dell’inizio del’XX secolo – per sottolineare la loro impudenza e coesione. Sono stati allevati dai due “vecchi” (Andrè Bazin e Doniol-Valcroze), e ora passano dalla critica cinematografica al cinema critico, detto altrimenti dell’azione. Agiscono come una banda e irrompono nella storia del cinema.
Per i giovani turchi adattare letteratura e teatro al cinema significa tradurlo nell’arte dell’immediato, del presente, del reale, capace di cogliere la verità della vita nel suo movimento. Loro sono anzitutto scrittori, scrittori antiaccademici. E mantengono lo stesso atteggiamento nel cinema. L’universo degli studios hollywoodiani si fonda sullo star system; i turchi invece fanno tutto da soli. Gli attori sono amici, nomi per nulla altosonanti (lo diventeranno dopo). Ma è una cosa è certa: all’attore del nuovo cinema è richiesta un’attitudine più intima e di maggior coinvolgimento rispetto da quanto richiesto per un’interpretazione classica.
I giovani registi comprendono infatti la necessità di rinunciare a tutta le generazione precedente di attori del cinema francese. Era impossibile innestare in quelli nuovi gesti, nuovi ritmi e nuovi modi di parlare. La Nouvelle Vague è interessata a riscrivere completamente le “regole del gioco” e si serve anche delle nuove tecnologie, facendo uso di macchine più leggere di registrazione dell’immagine e del suono, come la macchina da presa da 16 mm e il magnetofono.
Essi trasgrediscono la grammatica del cinema. Scelgono soggetti “deboli”, mescolano gli stili; danno del “tu” allo spettatore, rendendolo consapevole del fatto che il cinema è una finzione.
Godard e Truffaut cominciano insieme. Truffaut trionfa al XII Festival di Cannes con I 400 colpi. Siamo nel 1959. Sulla scia di quel successo improvviso, l’industria scopre questi giovani. É un’occasione per tutto il gruppo dei turchi. Il favore di pubblico e critica raddoppia con Jules e Jim (Jules et Jim) nel 1961. L’anno successivo Truffaut realizza l’episodio Antoine e Colette (Antoine et Colette) per il film collettivo L’amore a vent’anni (L’Amour à vingt ans, 1962). Due anni dopo gira La calda amante (La Peau douce, 1964). Del 1966 è invece Fahrenheit 451, adattamento del futuristico romanzo di Ray Bradbury; mentre il 1968 è l’anno di Baci rubati (Baisers volés), terzo capitolo del “ciclo Doinel”. Nel 1973 gira una delle sue pellicole più famose: Effetto notte (La Nuit américaine), chericeverà poi il Premio Oscar come miglior film straniero.
Truffaut amava le donne: da Jeanne Moreau a Fanny Ardant, da Catherine Deneuve alla sorella di lei Françoise Dorléac. Tutte muse del regista francese, che ha fatto dell’amore il soggetto ideale di tutte le sue pellicole migliori. La Deneuve avrebbe potuto posare una rosa rossa sulla tomba di Truffaut. Non ne ha mai voluto parlare in pubblico, eppure la sua relazione col cineasta non fu un semplice flirt, ma una storia d’amore con tutti i crismi che durò due intensi anni. Con Catherine, il regista girò L’ultimo Metro e La mia droga si chiama Julie, inno all’amor fou, dove la diva, bella come non mai, farà perdere la testa al povero Jean-Paul Belmondo. A resistergli sarà solo Isabelle Adjani, una delle poche a non cadere fra le sue braccia. Lei rifiuterà sempre le lettere d’amore del regista, come anche alle sue avances. Ciò non toglie che la sua interpretazione in Adele H. valse alla giovane attrice la candidatura agli Oscar (una rarità per un’attrice francese in un film recitato in lingua originale). Segno che la professionalità va ben oltre il coinvolgimento personale e che a volte il cinema è la forma d’amore più grande di tutte.