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Matteo Piccaia, pittore e poeta si è spento a 98 anni

Matteo Piccaia, Domodossola, 1940, olio su tavola, cm 17x23 Matteo Piccaia, Domodossola, 1940, olio su tavola, cm 17x23
Matteo Piccaia, Domodossola, 1940, olio su tavola, cm 17x23
Matteo Piccaia, Domodossola, 1940, olio su tavola, cm 17×23
Matteo Piccaia nacque nel 1923 in provincia di Venezia. Si interessò al disegno e alla pittura sin dalla giovane età. L’8 settembre 1943, giovane bersagliere e con l’esercito allo sbando, raggiunse da Faenza (con mezzi di fortuna e la tavolozza e i colori in mano) i genitori a Domodossola, i quali lo salvarono più di una volta dalle retate dei nazi-fascisti.

Dopo la seconda guerra mondiale visse per vent’anni tra Francia e Svizzera, entrando in contatto con gli ambienti artistici d’avanguardia. Iniziò giovanissimo a dipingere (nella foto Tetti di Domodossola, 1940, olio su tavola). Fu definito da Dino Buzzati “neo-figurativo emblematico” (Corsera 1971). Ritornato in Italia alla metà degli anni sessanta, scelse la provincia di Varese per vivere e continuare il suo lavoro artistico.

Sue opere sono oggi conservate in varie collezioni private e musei.

Il 19 ottobre 2021 si è spento all’ospedale di Busto Arsizio.

Ecco l’allocuzione funebre del figlio Giorgio.

Lieve e con un sorriso negli occhi e le dita lunghe e affusolate mi hai salutato per l’ultima volta. I tuoi insegnamenti rimarranno sempre in me.
Papi cos’è l’arte? È il riflesso che muove la Totalità.
La Totalità è la nostra arte ed è il nostro rapporto tra padre e figlio.
Le nostre chiacchierate erano settimanali e partivano da un suo pensiero, da un suo aforisma.
“Che colpa è la mia se mi sento artista, lasciatemi sognare.
E scusate tanto se la mia illusione ha distolto i vostri sogni”.
E io “più che “vostri sogni” dalle vostre attività”.
E lui, “Matteo, anche quelle sono sempre sogni”.
E via così rincorrendoci nei nostri ragionamenti a volte surreali ma mai banali.
Un giorno ho citato Emanuele Kant “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”, e il maestro prontamente “polenta e baccalà”. Sapeva essere ironico anche con l’amore della sapienza. E via discutendo di morale, astronomia e spiritualità.
I suoi discorsi sono sempre stati lucidi, anche recentemente.
“Quello che deve essere messo sulla tela è l’occhio che lo decide, le parole nulla sanno circa la qualità delle esattezze guidate dall’occhio”.
“È l’infallibilità dell’occhio che precisa la diversità degli oggetti, e non la mente che organizza come deformarli”. E io “occhio per occhio” e lui “ dente per dente”.
Liberi con il pensiero e con la parola, nella nostra arte.
A volte guardavamo suoi e miei disegni capovolgendoli o guardandoli allo specchio cercando errori o imperfezioni “Dipingere è come tentare un racconto e per raccontare serve una grammatica superlativa”.
E “Più sposti gli oggetti verso gli angoli, maggiormente sulla tela aumenta il disagio”.
E io “il disagio genera riflessione” e lui “gli oggetti possono cadere dalla tela”.
Il nostro è stato e rimarrà per sempre un rapporto d’amore, un intenso amore tra padre e figlio nell’arte.

Giorgio e Matteo Piccaia al B.A Film Festival, 2013

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