La monda delle noci è la principale occupazione dell’entroterra napoletano: dopo quello delle mondatrici dell’uva da tavola, anche questo delle mondanoci è un lavoro assai poco conosciuto…” (Ando Gilardi)
Foto/Industria – la più importante Biennale al mondo dedicata alla fotografia del Lavoro – propone per la sua quinta edizione fino al 28 novembre 11 mostre: 10 allestite in luoghi storici di Bologna e una alla Fondazione MAST. Topic centrale di Foto/Industria 2021 è FOOD – progetto coordinato da Francesco Zanot – in cui protagonista è l’industria alimentare, tema di fondamentale importanza per il suo inscindibile legame con filosofia e biologia, storia e scienza, politica ed economia.
Il bisogno primario di cibo si sovrappone alle immagini, in un percorso che si sviluppa all’interno di una materia insieme senza tempo e di stringente attualità, considerati i rapidi sviluppi di un settore che risponde alle più importanti trasformazioni in atto su scala globale: la questione demografica, il cambiamento climatico e la sostenibilità. Grazie all’ausilio della fotografia – “specchio dotato di memoria” – l’alimentazione racconta il rapporto con la tradizione, la natura, la tecnologia, il passato e il futuro.
Il cibo è un fondamentale indicatore per comprendere e analizzare intere civiltà. Le modalità attraverso cui gli alimenti vengono prodotti, distribuiti, venduti, acquistati e consumati sono in costante cambiamento e racchiudono i caratteri distintivi di un’epoca, un periodo storico o un ambito culturale e sociale. Il cibo è linguaggio. Come la fotografia, gli alimenti incorporano e diffondono messaggi.” (Francesco Zanot, direttore artistico di FOOD)
Tra i principali argomenti presenti nelle undici mostre figurano: l’industria alimentare e il suo impatto sul territorio; il rapporto tra alimentazione e geografia; la meccanizzazione della coltivazione e dell’allevamento; la questione del grano; l’alimentazione organica e naturale; i mercati e le tradizioni locali; la pesca nei mari e nei fiumi. A presentarle, undici fotografi di caratura internazionale, tra cui tre italiani: Ando Gilardi, presente in Fondazione Mast con l’esposizione Fototeca; Maurizio Montagna con Fisheye, dedicato al fiume Sesia e alla sua valle; Lorenzo Vitturi in Money Must Be Made, che fotografa Balogun, il mercato di strada di Lagos in Nigeria, uno dei più grandi al mondo.
Otto gli artisti stranieri: Hans Finsler – considerato tra i padri della fotografia oggettiva Anni ’30 con la sua serie Schokoladenfabrik per l’azienda dolciaria Most; Herbert List, celebre fotografo tedesco membro della Magnum Photos, con i suoi 41 scatti dal titolo Favignana sulla mattanza dei tonni del 1951; il francese Bernard Plossu che ha fotografato scorci di vita viaggiando lungo tutto il mondo, con ritratti legati a cibo e persone (Factory of Original Desires è il nome del progetto). A seguire Mishka Henner che con In the Belly of the Beast espone il rapporto tra uomo, animali e tecnologia in un processo incessante fatto di consumo, digestione e scarto; poi il giapponese Takashi Homma che in M+Trails mette a confronto le facciate dei McDonald’s nel mondo – soffermandosi su analogie e differenze – mentre immortala in altra sede le tracce di sangue lasciate dai cacciatori di cervi in Giappone; l’olandese Henk Wildschut che con il progetto Food si concentra invece sulle più avanzate tecnologie dell’industria alimentare, sviluppate per aumentare il volume della produzione. Dulcis in fundo, due fotografe donna d’eccellenza: l’inglese Jan Groover con Laboratory of Forms espone le sue nature morte – dialogando con l’eccelso Morandi al MAMbo – e l’attivista palestinese Vivien Sansour presenta invece Palestine Heirloom Seed Library a Palazzo Boncompagni, un progetto per salvaguardare antiche varietà di semi e proteggere la biodiversità.
Vediamo nel dettaglio le varie esposizioni.
Ando Gilardi, Fototeca (Fondazione Mast)
Ando Gilardi è una delle figure più eclettiche e originali della storia della fotografia italiana. La Fototeca Storica Nazionale, fondata nel 1959, contiene circa 500.000 immagini e costituisce un archivio sugli usi della fotografia. Questa mostra presenta una selezione degli innumerevoli materiali prodotti e raccolti da Gilardi sul tema dell’alimentazione, a partire dalle fotoinchieste realizzate tra gli anni ’50 e ’60 – centrate particolarmente sul lavoro nei campi e nelle industrie – fino ai materiali conservati e riprodotti nel vasto inventario: figurine, incarti, scatole, pubblicità, libri, riviste, erbari. Mirabili le fotografie alla maga durante l’intervista in Lucania per il celebre libro Sud e Magia (1959). Fototeca è un’esplorazione dell’iconografia del cibo e del potere della fotografia nel mantenerla sempre viva e accessibile a tutti. L’atto di nutrirsi viene rappresentato sia come un bisogno che come una festa e un’autentica conquista, facendo scaturire nello spettatore un genuino senso di libertà e semplicità.
La mostra continua fino al 2 gennaio 2022.
Le zucche d’estate sono mangime, d’inverno cibo…” (Ando Gilardi)
Non è solo vendemmia il lavoro delle “pergolone”: che, anzi, la vendemmia è quella che conta di meno. E’ lo spedizioniere che le ingaggia, le divide a squadre e poi le sposta di qua e di là, dove sono i lotti dell’uva da raccogliere.” (Ando Gilardi)
Takashi Homma, M+Trails (Padiglione dell’Esprit Nouveau)
Takashi Homma si concentra sul rapporto tra uomo e natura, documentandone sia gli esiti più felici che i deleteri. Questa mostra combina tra loro due lavori realizzati dal fotografo giapponese in un ampio periodo di tempo compreso tra il 2000 e il 2018. La serie M raccoglie e mette a confronto le facciate di una serie di negozi di McDonald’s in diverse parti del mondo, soffermandosi sia sulle loro differenze che sulle innumerevoli somiglianze, rimandando alla standardizzazione del cibo stesso. Non-luoghi per eccellenza, questi spazi standardizzano il cibo offerto: c’è il conforto della riconoscibilità, ma anche il disagio dell’omologazione e della globalizzazione. Il progetto Trails mostra invece le tracce di sangue lasciate da alcuni cacciatori di cervi tra le montagne di Hokkaido, la cui fredda eleganza ricorda la nota calligrafia tradizionale. L’astrazione del segno si combina alla cruda realtà della vita e della morte. La rapidità del consumo si oppone alla lentezza della ricerca, tenendo al centro il sacrificio dell’animale (e le varie fasi di decomposizione del corpo, studiate da Homma).
Jan Groover, Laboratory of Forms, MAMbo
Jan Groover si forma come pittrice, ispirandosi all’opera di artisti come Paul Cézanne, Giorgio Morandi e i minimalisti. Si dedica alla fotografia dall’inizio degli anni ‘70. Grande protagonista è la sua Still Life, una natura morta che suscita presto l’interesse di critica e pubblico con una serie di oggetti fotografati nella cucina della sua abitazione, che combinano una sensibilità compositiva simile ai quadri rinascimentali con l’eco delle istanze politiche e sociali del femminismo. Vi sono delicatezza e sharpness nei Kitchen Still Lifes (1977-1980) di Jan Groover. Bellissimi anche i suoi Color Still Lifes (1986-1991), che ricordano tanto sfumature e colori caravaggeschi degni di un allestimento teatrale. Il suo lavoro, celebrato in una mostra personale al MoMA di New York nel 1987, prosegue fino al 2012 con una continua ricerca sulla forma degli oggetti e il loro inesauribile potenziale visivo. Questa mostra – proveniente dal Musée de l’Elysée di Losanna – costituisce la sua prima retrospettiva in Italia e coglie l’occasione per avvicinare il suo lavoro a quello del celebre Giorgio Morandi. Notevole anche la sua serie fotografiche sulle Body Parts, con un occhio ai dettagli di alto livello.
Probabilmente mi stavo sbarazzando di tante idee concettuali. Quelle che io chiamo fotografie di parti del corpo – immagini di gambe o ginocchia – illustrano molto bene questa mia nuova relazione con il mondo. Le persone in genere non sono nude, è un dato di fatto. La soluzione era quindi la carne, e per ottenere la carne, bisogna guardarla. Immagino le persone come dei peperoni verdi.” (Jan Groover)
Hans Finsler, SCHOKOLADENFABRIK (Biblioteca San Giorgio in Poggiale)
Tra i maggiori protagonisti della fotografia oggettiva (Sachfotografie) e vicino alle avanguardie d’inizio Novecento, Hans Finsler si è specializzato fino dall’inizio della sua carriera nella rappresentazione degli oggetti. Organizzata in collaborazione con la Fondazione Rolla, questa mostra è interamente dedicata a una serie specifica realizzata nel 1928 dal fotografo svizzero su commissione della fabbrica dolciaria tedesca Most. Unici soggetti sono i prodotti dell’azienda, miniature di cioccolato e marzapane descritte nei minimi particolari, grazie a una particolare combinazione di capacità tecnica e filosofica minuzia. Trattati come opere uniche dell’ingegno artigianale e industriale, i dolci di cioccolato e marzapane risultano così sospesi come in una pubblicità, immersi nella suggestiva location di San Giorgio in Poggiale, unita alla maestosa opera del maestro Parmiggiani.
Mishka Henner, In the Belly of the Beast (Palazzo Zambeccari – Spazio Carbonesi)
Mishka Henner è uno dei principali sperimentatori del linguaggio fotografico contemporaneo, consacrato nel 2015 dalla mostra collettiva New Photography al MoMA di New York. Particolarmente interessato ai cambiamenti introdotti dalle nuove tecnologie, spesso non realizza direttamente le immagini di partenza dei suoi progetti, ma le preleva dalla rete, appropriandosene e attribuendovi nuovi significati. È ciò che accade nel caso dei tre progetti selezionati per questa esposizione. Feedlots è una serie di gigantografie realizzate attraverso la combinazione di centinaia di immagini di Google Earth raffiguranti enormi allevamenti di bovini, in cui la cartografia si combina a un senso generale di astrazione. Scopes è un inquietante montaggio di video reperiti su YouTube di animali che ingeriscono fotocamere e videocamere. The Fertile Image è un’accumulazione di oltre 300 immagini generate automaticamente da un software nutrito dall’artista, che crea animali immaginari e mostruosi, seguendo le combinazioni di codice genetico di una coppia base. Nel suo insieme, In the Belly of the Beast è un’esposizione sul rapporto tra uomo, tecnologia e animali: un processo incessante fatto di consumo, digestione e scarto.
Maurizio Montagna, Fisheye (Università di Bologna-Collezione di Zoologia)
Fotografo interessato alle intersezioni tra spazio naturale e costruito, Maurizio Montagna esplora nei suoi progetti il rapporto tra il passato e il presente di un luogo, utilizzando la fotografia per documentare tanto ciò che permane quanto il suo mutamento. Appositamente realizzato per Foto/Industria, il progetto Fisheye indaga il territorio della Valsesia, selezionata come campione per lo studio della trasformazione di un paesaggio fluviale a partire dalla sua relazione con la pesca, che qui si è sviluppata nel corso dei secoli a partire da una tradizione tra le più antiche al mondo. Attraverso il filtro di questa attività, Montagna svela il modo in cui questo territorio è cambiato nel tempo, sia per cause naturali, sia per l’intervento dell’uomo, il quale ha inciso massicciamente sull’ambiente con interventi più o meno visibili (dalla costruzione di una diga all’emissione di gas serra) alterando il corso dei fiumi, la vita delle specie autoctone che li abitano e quella delle persone che le introducono nella propria dieta.
Vivien Sansour, Palestine Heirloom Seed Library (Palazzo Boncompagni)
Vivien Sansour è un’artista e ambientalista palestinese. Palestine Heirloom Seed Library è un progetto artistico, sociale e di ricerca nato nel 2014 con l’obiettivo di promuovere la salvaguardia di antiche varietà di semi, intese come vere e proprie unità viventi di storia e cultura, attraverso il coinvolgimento attivo dei cittadini e delle istituzioni. Progettata come un vero e proprio ambiente, questa mostra integra diversi media, tra cui la fotografia, il video e la scrittura, per accompagnare gli spettatori in un percorso multisensoriale alla scoperta dei progetti promossi e intercettati dalla Palestine Heirloom Seed Library dalla sua nascita fino a oggi.
Lorenzo Vitturi, Money Must Be Made (Palazzo Pepoli Campogrande – Pinacoteca Nazionale di Bologna)
Da sempre interessato all’incontro tra differenti culture, Lorenzo Vitturi ha maturato il progetto Money Must Be Made nell’ambito di una residenza a Lagos su invito della African Artists Foundation. Scenario del lavoro è Balogun, uno dei più grandi mercati di strada al mondo, dove Vitturi ha scattato alcune fotografie (molte con persone che tengono in equilibrio oggetti sulla testa) e raccolto i materiali – in parte alimenti – che sono in seguito diventati ingredienti di nature morte realizzate presso il suo studio. Il risultato è una mostra che investiga un autentico ecosistema fragile e sconfinato, dove la tradizione si confronta con l’economia globale (la gran parte degli oggetti venduti al mercato sono Made in China): il melting pot è il marchio di fabbrica di Vitturi.
Henk Wildschut, Food (Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Palazzo Paltroni)
Henk Wildschut combina in tutti i suoi lavori fotografia e attivismo, concentrandosi in particolare sul tema della comunità, le sue regole e i suoi riti, e i processi di meccanizzazione del cibo. Food – commissionato dal Rijksmuseum di Amsterdam e realizzato in tre anni di lavoro tra il 2011 e il 2013 – è il risultato di una vasta ricerca sul tema dell’industria alimentare, centrata in particolare sulle più avanzate tecnologie del settore, generalmente sviluppate per aumentare il volume della produzione e adeguarsi alle norme sempre più stringenti in merito a igiene e sicurezza. Dagli allevamenti con decine di migliaia di animali come polli e bovini alle sterminate serre in cui vengono riprodotte le condizioni ideali per accelerare la crescita delle piante, il lavoro di Wildschut è un viaggio nel backstage di ciò che mangiamo ogni giorno (e il risultato è piuttosto sconfortante).
Il nostro cibo è creato in un pulito universo di regole e protocolli. Normative come quelle contenute sulle nuove leggi sull’uso degli antibiotici obbligano gli allevatori di polli e maiali a fare tutto il possibile per prevenire l’insorgere di infezioni, cosicché questi animali risultano tanto buoni quanto più vengono isolati ermeticamente dal mondo esterno. Ciò non serve a nascondersi dai consumatori, ma a soddisfare il loro bisogno di un cibo che sia al tempo stesso sano e poco costoso.” (Henk Wildschut)
Bernard Plossu, Factory of Original Desires (Palazzo Fava, Sale Le avventure di Enea)
Sono una persona nervosa, che fa foto tranquille.”
Così si presenta ironicamente Bernard Plossu – uno dei maggiori protagonisti della fotografia francese degli ultimi cinquant’anni – tra le suggestive sale di Palazzo Fava. L’artista ha fotografato tutto il mondo con sguardo curioso e attento, concentrandosi sui minimi dettagli della vita quotidiana. L’alimentazione è dunque – inevitabilmente – uno dei soggetti su cui si è ripetutamente soffermato: qui viene mostrata un’inedita e speciale selezione di immagini che mescola chiare tendenze topografiche all’incanto per la figura umana. Alle grandi insegne dei diner del West americano, luoghi in cui il fotografo ha trascorso molti anni della sua vita, si affiancano paesaggi più o meno antropizzati – dalle piantagioni di mais alla iper-urbanizzazione di Hollywood – passando per nature morte di oggetti trovati e ritratti spontanei che evidenziano la complessità del rapporto tra persone e cibo. Un viaggio/diario alimentare sempre in bilico tra attrazione e bisogno, desiderio e necessità, piacere ed eccesso.
Herbert List, Favignana (Palazzo Fava, Salone Mito di Giasone e Medea)
Sempre bellezza, sempre Palazzo Fava, ma in questo caso con un Salone che dialoga ancor più magistralmente con le opere esposte. Herbert List ne è il protagonista, re della “fotografia metafisica”: è lui stesso a coniare questo termine per descrivere il suo lavoro, in omaggio al celebre movimento artistico cui si ispira. Affonda le radici delle sue composizioni tipicamente classiche nell’arte antica greca e italiana. Visitando frequentemente questi luoghi, è proprio durante un viaggio al Sud del 1951 – anno in cui entra a far parte della celebre Magnum – che realizza il progetto presentato in questa mostra. Si tratta di una serie di 41 fotografie riprese sull’isola siciliana di Favignana, fondamentale documento della storia locale e testimonianza della maturità artistica dell’autore tedesco. Al centro del lavoro ci sono il tipico processo di lavorazione del tonno e la mattanza, tradizione tanto viva nella popolazione locale quanto destinata a scomparire. In una sequenza rara e calibrata, List celebra la vita e la morte, trattando gli animali alla stregua di figure mitologiche, che ben si amalgamano alla tauromachia dei Carracci (molte teste negli affreschi sono mozzate, così come quelle dei tonni ritratti) e osservando i lavoratori isolani come gli ultimi custodi di un sapere arcaico, con un uso abile dei contrasti per “sporcare” di nero le foto (il sangue in bianco e nero risulta scuro – quasi vischioso – atto a creare un effetto più cruento e pieno di pathos per la mattanza).
Foto/Industria 2021, FOOD
L’ingresso alle mostre di Foto/Industria è gratuito, senza prenotazione*.
Green Pass obbligatorio.
Gli ingressi vengono gestiti in base alla capienza degli spazi espositivi.
Ogni sede applica misure di prevenzione e sicurezza specifiche.
Il badge di Foto/Industria dà diritto all’accesso gratuito alle sedi espositive della Biennale, assicura uno sconto presso i ristoranti Gourmet Partner e consente l’iscrizione alla newsletter della Fondazione MAST.
* Per la mostra di Jan Groover al MAMbo è possibile prenotare l’ingresso qui.
Orari mostre
Fino al 28 novembre
Da martedì a domenica, dalle 10 alle 19
In occasione degli eventi alla Fondazione MAST la mostra Fototeca è aperta fino alle ore 22.
Acquistabile il Photo book / Ricettario FOOD – una pubblicazione a metà tra fotografia e libro di cucina – pensato dallo chef Tommaso Melilli, che interpreta i temi di ogni mostra attraverso una ricetta originale.
Edizione bilingue italiano-inglese
304 pagine, 130 illustrazioni in b/n e a colori
Brossura, 13,5 x 19,5 cm
ISBN 9788894369847
25 €
Via Speranza, 42
40133 Bologna