Estroflettere, accarezzare la luce sulla tela. Il grande Enrico Castellani torna a Milano, a distanza di vent’anni dall’ultima personale. LOOM gallery e Fondazione Enrico Castellani presentano “Enrico Castellani – Le Superfici e i Fondamenti”, a cura di Tommaso Trini. Per l’occasione sono esposte opere atipiche, a tratti complementari e appartenenti a diversi ambiti, a sottolineare come l’intera pratica di Castellani si sia sviluppata all’interno di un contesto di ricerca nel quale dall’architettura e dall’ingegneria si passa alla matematica e alla fisica.
Nello specifico due grandi tele bianche di foggia triangolare, la cui superficie è mossa al centro da un doppio registro di rilievi verticali, entro il quale si sviluppano altrettanti avvallamenti, fanno da eco alle due imponenti sculture lignee, di chiara ispirazione nautica, composte da travi a sezione quadrata bilanciate tra loro tramite volanti d’acciaio e sartie allocate a piccole bitte. Il corpo di lavori è stato realizzato in occasione della mostra personale alla Galleria Civica di Trento del 1999 e da allora non sono mai più stati presentati assieme.
Distinti e apparentemente distanti – appartenenti all’ambito del rilievo e della tela estroflessa i primi due elaborati, chiaramente riconducibili ad un contesto scultoreo, installativo e costruttivo gli altri – questi lavori, proposti in dialogo serrato e sagacemente licenziati considerando il possibile capovolgimento delle parti, mostrano come l’intera vicenda artistica di Castellani si regga sulla concreta determinazione di campi di forze opposte che, come le facce di una medaglia, si affermano e si negano simultaneamente, sino al raggiungimento dell’equilibrio indiscutibile. La tensione che governa le superfici a rilievo non è estranea a quella sulla quale si reggono le sculture presentate.
Infatti rivelano chiaramente i dati costruttivi e strutturali e il processo stesso che porta alla loro formazione e, come le tele estroflesse, non si pongono in qualità di immagini, sottraendosi alle definizioni più solite, per espandersi oltre i limiti e relazionarsi con lo spazio in modo estremamente efficace; determinandolo e strutturandolo sino a rendere l’evidenza del vuoto parte integrante dell’opera.
Non a caso, come scrive Tommaso Trini nel saggio redatto per questa occasione: “L’opera d’arte di Castellani non si lascia scoprire, si espande. E se già Eraclito tramandò che «la natura delle cose ama celarsi”, e se tutt’oggi i cosmologi valutano oscure là un’energia e qui una materia, converrà aggiornare i linguaggi secondo natura. Né basterà un’ode alla luce prodotta da tale artista a vederci chiaro.
O luce d’arte alquanto rara schiarisci i passi discreti delle onde e/o particelle che irrorano tra flessioni e rilievi le tue superfici nella loro bellezza! Secondo precisi fondamenti iconici Castellani condivide la dualità di superfici e/o vuoto interno: il violino del suo prestigio. Tali corpi estro/intro/flessi sono strumenti dell’osservare aptico, quando pare di toccarli con gli occhi e farli risuonare; senza cornici, aprono campi di spazio ed energia. Le superfici chiuse dialogano coi fondamenti aperti come passi sulla luna. Le superfici emanano più luce se animate da cavità o fondali che le sensibilizzano, fu questo l’atout del giovane Enrico. La sua arte è perciò espansa sia in ogni singola superficie a corpo oscuro, tra sculture, ambienti, eventi, concetti, excursus di pregio, finora meno frequentati.