“Nelle leggende che i maschi hanno inventato per spiegare la vita, la prima creatura inventata è un uomo chiamato Adamo. Eva arriva dopo, per divertirlo e combinare guai”.
Her name is Revolution è il titolo del progetto scelto da CHEAP, un concept di public art – fondato da 6 donne a Bologna nel 2013 – nato come un festival e divenuto poi molto di più grazie alla continua ricerca di un equilibrio tra pratica curatoriale e attivismo che si occupa di linguaggi contemporanei ed interventi svolti prevalentemente sul paesaggio urbano. Avvalendosi della collaborazione di Rebecca Momoli (giovane artista formatasi a Milano che concentra la propria pratica espressiva per mezzo della fotografia, poesia e scultura), il progetto è dedicato alle silenti grida presenti nei manifesti fotografici affissi in svariate strade della città.
Corpi nudi, carnosi, imperfetti e dunque verisono quelli delle venti donne immortalate negli scatti dell’artista che si fanno portatori di messaggi urgenti. A pochi giorni di distanza dall’affossamento di una legge per i diritti, tali manifesti si fanno ancor più potenti. Ribadiscono ancora una volta che la crociata è in atto e nessuna guerra è stata mai pianificata dalle donne con altrettanta garbata e pacifica violenza. Se “Eva arriva dopo” – per citare le pungenti parole di Oriana Fallaci –allora il nome di Lei è di massima importanza, perché si chiama Futuro. È il nome delle donne di oggi che si battono per quelle di domani.
Incisive frasi di colore rosso pressate su corpi morbidi e candidi danno adito alla lenta rivoluzione. Ci si può chiede se tale protesta (come le sue affini) confluisca nel semplice mainstream, quel “già sentito” che alla lunga stanca. Questa, però, non è una lotta abbracciata per lo sterile gusto della mera lotta, ma un sensibile intento di cura che richiede cultura. Per questo motivo i manifesti bolognesi fanno leva sul fatto che la solidarietà e la sorellanza siano le miglior armi di cui avvalersi. Si grida e si protesta con pazienza così:insieme. Non a caso, il progetto è natodall’azione partecipata delle venti donne ritratte (attiviste, artiste e non solo)che hanno affisso i postersaiutandosi tra loroe di notte. Un gesto simbolico, iniziatico e di potentecarattere rivoluzionario, sociale e solidale; perché per illuminare il buio serve coraggio e questo lo si ha solo se c’è unione.
L’aver per natura un corpo in grado di generare vita è un vantaggio o una limitazione? Non desiderare di essere madri è, allo stato dei fatti, un privilegio come invece esserlo? Questi sono i quesiti sollevati nei manifesti ed invitano tutti – non solo le madri e le donne – a crescere ragazze ribelli capaci di battersi per i propri diritti e non essere mai succubi.A dimostrazione di come la voce del femminismo non debba farsi più flebile ha partecipato anche la casualità (che da sempre crea nell’arte il mistero della verità). I manifesti sotto gli occhi dei passanti hanno resistito alle intemperie, alla caducità del tempo ed alla fragilità dei suoi materiali, ma a danneggiarli è stata l’azione umana. Con una bomboletta spray in alcuni posters sono stati cancellati volti, capezzoli e frasi, poi accuratamente riscritte da persone comuni. Eccola qui la cura, la solidarietà e dunque la speranza. Un gesto di tutela che si oppone a quello di censura: pesato e terapeutico il primo, superficiale e nocivo il secondo. L’accaduto non fa altro che accrescere le riflessioni sul tema: le donne non chiedono prevaricazione sugli uomini, ma parità. Allora perché un petto nudo maschile non genera il medesimo pudore riservato a quello femminile? Sin dagli esordi, CHEAP invita,attraverso l’arte,a meditare sulla sessualizzazione del corpo delle donne, che col passare del tempo ha sempre più fame di un suo equo e dignitoso spazio: occupiamolo tutti come atto rivoluzionario.
CHEAP in strada
con Rebecca Momoli
HER name is revolution
un progetto femminista di arte pubblica
per Matria • Immaginari della maternità contemporanea
di ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione