L’ultimo libro di Marco Baravalle ricostruisce un paesaggio culturale tra musei, istituzioni espositive, ruolo del curatore e il lavoro di alcuni artisti
Un libro raffinato, scorrevole e profondo. L’autunno caldo del curatore. Arte, neoliberismo, pandemia (Marsilio) è un testo importante, che molti avrebbero voluto saper scrivere, condividendone i principali termini di analisi. Fortunatamente lo ha scritto Marco Baravalle, e lo ha scritto molto bene. La prefazione di Manuel Borja-Villel, intitolata “In territorio nemico”, introduce ai temi in oggetto. Ricostruendo un paesaggio culturale tra musei, istituzioni espositive, ruolo del curatore, il lavoro di alcuni artisti. E la scarsa incisività dell’arte rispetto al rullo compressore, allo schiacciasassi neoliberista e le possibili autodifese.
Il volume è strutturato in tre parti: la prima si intitola Curatela, neoliberismo e governamentalità, la parte seconda si intitola Alteristituzioni dell’arte nel populismo, mentre la parte terza si intitola Città, biennali, pandemia. Nei capitoli del libro, Baravalle illustra quasi anatomicamente figure quali Szeemann, Obrist, Crispolti, Sholette. Ma anche l’opera di artisti quali Santiago Sierra, Tania Brugera o Azzelini-Ressler. Inquadrandoli come Bishop, dalla prospettiva “populista” di Asor Rosa. Il volume ha il merito di descrivere in maniera analitica le trasformazioni governamentali della critica, l’impotenza sostanziale dell’arte, l’importanza del concetto di Alteristituzione, una sostanziale rivendicazione di prassi auto organizzative che parlano a tu per tu con le istituzioni ufficiali in chiave di libertà e autonomia.
Biennale di Venezia
Non poteva mancare un’analisi sul ruolo che ha avuto ed ha la Biennale di Venezia nella città e nel mondo. Resta l’amarezza di una controriforma neoliberista in atto ormai da mezzo secolo, resta la scomparsa del “popolo”, resta un’analisi amara di un paesaggio monoculturale al quale solo la nostra volontà e capacità di opporci mediante l’auto organizzazione, restituisce un filo di speranza.
Giuliano Santoro scriveva il 27 ottobre sul Manifesto a proposito dell’Esc: “Quando, alla fine degli anni Novanta, dalle colonne di Le Monde i centri sociali vennero celebrati come ‘il fiore all’occhiello della cultura italiana’, nessuno avrebbe detto che questa storia, che pure si dipanava sul filo della legalità e forzando le regole, si sarebbe ridotta a pigioni da pagare e canoni mensili. Men che meno a Roma, dove sempre in quegli anni decine di spazi sociali avevano strappato la delibera 26 sull’uso degli spazi inutilizzati”.
Politica lontana
La classe politica è lontana anni luce dalle realtà auto organizzate dei CS, come è troppo spesso lontana dall’arte e dalla cultura in generale, troppo impegnata ad assorbire mentalità e linguaggio d’impresa. Realtà quali L’Esc a Roma o il Macao a Milano e il S.a.L.E. Docks a Venezia sono veramente un fiore all’occhiello della produzione culturale e della soggettivazione politica, ma restano un territorio da conquistare da parte di Amministrazioni inconsapevoli del materiale che trattano.
Baravalle compie una disamina di molte di queste realtà, rendendoci edotti sulle complessità e sulla vitalità di tali Alteristituzioni. Ma è nella terza e ultima parte che la disamina di Baravalle mostra la sua profonda natura politica e sociale. Affrontando prima la picassificazione di Malaga e dopo la Biennale e la pandemia, le occasioni mancate di un “ritorno alla normalità” invece di una riforma dello status quo. L’esempio calzante è quello del Museo Nazionale Reina Sofia di Madrid. Che non ha mancato di spendersi in favore delle realtà sociali di tutta la Spagna. Questo libro è prezioso per chi ha a cuore l’arte e la cultura.
https://www.marsilioeditori.it