La mostra dal titolo The Wall Between Us, allestita negli spazi del Museo MA*GA di Gallarate, è visitabile con ingresso gratuito fino al 9 gennaio 2022 e presenta il progetto degli artisti Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini vincitori nel 2020 dell’ottava edizione di Italian Council.
Da una vicenda autobiografica e dalla necessità di sondare l’esperienza della distanza e della memoria nasce il progetto per la mostra The Wall Between Us che già nel suo titolo offre la chiave di lettura di tutto il percorso espositivo messo in moto dagli artisti Ottonella Mocellin (Milano, 1966) e Nicola Pellegrini (Milano, 1962) e completato dalle opere di artisti vietnamiti, vittime di seconda generazione della diaspora asiatica avvenuta durante gli anni della Guerra Fredda. Il muro diviene dunque non solo il simbolo di un avvenimento storico e di una città, Berlino – primo centro di accoglienza in Europa dei rifugiati vietnamiti – ma anche allegoria di un luogo ideale in cui ricollegarsi alle proprie origini, non per trovare risposte bensì per meditare sul significato dell’impossibilità di conoscere. Un muro ridefinibile che assume i connotati di un limite sì, ma privilegiato, per incontrarsi.
Da queste riflessioni nasce innanzitutto l’opera della coppia Mocellin-Pellegrini che dà il titolo alla mostra: una videoinstallazione che documenta un viaggio reale e al contempo immaginario che gli artisti hanno intrapreso in compagnia dei loro due figli adottivi, originari del Vietnam, su una barca a vela lungo le tracce del Muro di Berlino. I quattro trascorrono una giornata dai connotati intimi e quotidiani – scandita da giochi, pasti, silenzi, dialoghi- navigando nelle infrastrutture cittadine, mirando ad un luogo altro. Ad accompagnare le immagini del video, di sottofondo sono presenti le voci sussurrate dei due artisti-genitori che si rivolgono alle madri biologiche dei figli. La delicatezza con la quale si aprono e cercano di comunicare con queste donne attraverso una lettera, riflette il rispetto non solo nei confronti delle due madri ma in generale di tutte queste storie ed esperienze sconosciute o dimenticate. L’osservatore diviene quindi partecipe di questa impresa profonda e faticosa, atta a curare ferite e a far emergere nuovi pensieri, nuove vulnerabilità con le quali ricollegarsi. Interessante è anche notare come sia il tema della lettera che quello del viaggio itinerante, già utilizzati in lavori precedenti dai due artisti – Messico famigliare e Nessuno parlava – raggiungano qui una fusione in cui assenza, divisone e sospensione si incarnano in luoghi da vivere, in cui trovare un punto di incontro.
Tale ribaltamento di prospettiva è stato accolto ben volentieri dagli artisti e architetti vietnamiti contattati da Mocellin-Pellegrini i quali, attraverso l’aiuto di SAVVY Contemporary di Berlino, sono riusciti a dar vita a una dialogo aperto attorno a macro-concetti quali la narrazione, la fragilità della memoria, le dinamiche familiari e le politiche identitarie. Come fisiche costellazioni le opere di questi artisti animano, insieme alla videoinstallazione dei due artisti italiani, la mostra curata da Elena Agudio che si apre con Presence in absentia, un’opera composta da due mandala di grandi dimensioni realizzati su due piedistalli in legno colorato e adagiati orizzontalmente per terra. L’autrice di questa opera effimera – destinata a smaterializzarsi alla fine della mostra – è Jacqueline Hoàng Nguyễn che ha rappresentato suo nonno e la madre di quest’ultimo che, a causa dell’ascesa del regime comunista in Vietnam, persero tutti i loro averi e riuscirono a conservare solo alcune fotografie dalle quali l’artista ha potuto estrapolare le loro immagini per l’opera.
La dialettica tra generazioni è fulcro imprescindibile di quasi tutte le opere esposte e testimonia la presenza, ma anche la parzialità del racconto storico. Ad esempio, la ritroviamo nell’opera di Danh Vo, una delle copie di una lettera che era stata scritta da un monaco francese in attesa di essere ghigliottinato e rivolta al padre, che l’artista fa riscrivere invece al proprio padre. Oppure nelle fotografie delle madri delle due artiste Hương Ngô e Hồng-Ân Trươnge, ancora, nell’opera Wiedersehen di Minh Duc Pam espressa attraverso lettere che egli scrive a se stesso.
Affascinante risulta poi l’architettura politica di Van Bo Le Mentzel, una casa ridotta al minimo essenziale pensata per i rifugiati e posta all’interno di una delle pareti che fa da supporto per la videoinstallazione di Moccellin-Pellegrini, che alla funzionalità unisce un’estetica minimalista in grado di sintetizzare contestualmente da una parte l’idea di accoglienza e comunione famigliare e dall’altra quella di divisione.