Per Guido Rocca (Milano, 1983) l’arte è essenzialmente una rivoluzione gentile. Una dimensione alla quale il pittore è arrivato grazie ad una vita intensa, ma che oggi gli consente di avere piena consapevolezza di ciò che fa e di chi è; e di trasmetterlo anche alle altre persone, artisti e non. Per avvicinarsi concretamente all’arte di Guido Rocca bisogna andare presso lo spazio Two Creation, in via della Spiga, a Milano, dove le sue opere sono esposte a partire da mercoledì 15 dicembre e per tutto il 2022, insieme ai gioielli della designer Wita Ocean.
Nei quadri di Guido Rocca, colpi di colore a olio in tinte vivacissime creano un insieme armonico, frutto di una ricerca molto personale nell’astrattismo. Abbiamo incontrato l’artista e ci ha spiegato la sua tecnica, oltre a raccontarci molto di sé. “Creo i colori direttamente sulla tela”, spiega Rocca. “Metto molto colore sul pennello e realizzo effetti materici, sia ad l’olio sia con gli acrilici, che, invece, stendo con la spatola. Le mie opere sono l’interazione di migliaia di pennellate. La tela finisce quando il mio sguardo si perde nell’opera e nessuna pennellata attira l’attenzione più di un’altra, percepisco una serena armonia di colori ed energia. È come se il quadro mi comunicasse che è finito”.
Quali obiettivi si pone con il suo genere di pittura?
Non ho timore dei giudizi negativi, la mia sincerità espressiva è la cosa più importante. Solo tenendo fede a me stesso riesco ad arrivare agli altri, a trovare un punto di contatto con le persone e far sì che comprendano le mie opere. I miei quadri non sono solo materia, contengono me a nudo.
Che cosa vuol dire per lei che l’arte è una rivoluzione gentile?
Vuol dire che può migliorare la propria vita e quella degli altri. Tutti noi abbiamo la capacità di essere creativi in ciò che facciamo. E praticare l’arte non serve solo a guadagnare, anzi, quando ci si allontana dall’obiettivo dei soldi, ecco che i guadagni arrivano, perché abbiamo uno scopo più alto che, in un certo senso, mette in secondo piano dubbi e problemi. Anche chi investe in arte non ha solo un ritorno economico.
Mi spieghi meglio
I collezionisti e gli investitori danno energia ad un ambito, quello artistico, che crea un’evoluzione della realtà e un futuro migliore per tutti. Può essere una forma di filantropia; pensiamo, ad esempio, al Rinascimento e a ciò che ha significato per il mondo.
Come è arrivato ad averne una visione così alta?
L’arte trasforma il piombo in oro alchemico, permette a gioie e dolori di emergere e di farci crescere attraverso di essi. Per me è stato un lungo percorso, iniziato tanto tempo fa, da adolescente. Ero nella casa di campagna di mia madre e stavo dormendo e sognando. Mi svegliai in preda a un impulso e iniziai a dipingere con i colori ad olio sulla tela dei lenzuoli. È così che ho iniziato.
Famiglia di artisti?
Mio nonno, del quale porto il nome, e il mio bisnonno, Gino Rocca, erano due noti scrittori. Mio padre dipinge anche lui e mia madre lavora la ceramica; sono due persone meravigliose, molto responsabili, che mi hanno comunicato il senso del bello e dell’aiuto agli altri. L’esempio dei miei genitori e i valori che mi hanno trasmesso sono stati come fari nella burrasca, senza di loro sarei sicuramente annegato.
Ha avuto momenti particolarmente difficili?
Da adolescente ho iniziato ad avere problemi con la droga. A diciotto anni, quando ero già tossicodipendente, sono andato via di casa e ho girato il mondo. Ho attraversato l’Oceano Atlantico in barca a vela, ho vissuto in Nepal, in Brasile, nell’isola di Antigua, ai Caraibi. Nel frattempo mi sono appassionato ai testi filosofici ed esoterici; cercavo soluzioni per me stesso, partendo dall’equivoco che la droga aumentasse le mie capacità percettive e artistiche. In realtà, mi stava solo mangiando vivo.
La pittura l’ha aiutata?
L’arte mi dava e mi dà un ruolo, mi permette di sentirmi utile, ciò che tutti noi vogliamo provare per sentirci vivi. L’arte mi ha donato la serenità, il benessere, la trasformazione interiore; l’ho usata per non morire. La mia essenza interiore era coperta dalla tossicodipendenza; tolte le droghe, la creatività si è espressa con la giusta forza fisica e mentale.
Come ne è uscito?
Dopo aver girato l’India e il Nepal, sono tornato a Milano e mi sono rivolto ad una clinica svizzera per disintossicarmi; ma ho ricevuto solo farmaci e vittimizzazione. Ho rischiato anche la morte a causa di un’overdose di psicofarmaci. Poi mi sono informato meglio e sono entrato a contatto con una realtà che si trova nelle Marche, dove, attraverso un percorso di risanamento del corpo, prima, e dell’anima, poi, ho risolto la mia situazione in pochi mesi. Da più di dieci anni aiuto le famiglie dei tossicodipendenti, andando in giro per l’Italia e convincendo i ragazzi a riabilitarsi. Molti di loro sono artisti. Sono sempre più convinto che le droghe stiano bruciando buona parte dell’arte di cui il mondo ha bisogno.
Fra le altre attività, lei ha fondato l’associazione Call to Arts e, insieme al producer David Guido Pietroni, gestisce Artemedia Academy, un’accademia per gli artisti
Call to Arts è un’associazione che ha lo scopo di restituire la giusta importanza all’arte nella nostra società. L’Academy è un progetto su cui sto lavorando insieme all’amico fraterno David Guido Pietroni, grande manager di attori e artisti. Non lo conoscevo, ma poi ho visto su internet un suo video e ho capito subito che aveva uno scopo gigantesco e che realmente voleva aiutare gli artisti. Così gli ho scritto e ora lavoriamo insieme. Da pittore, sono in grado di capire bene il mondo degli artisti emergenti. In accademia cerchiamo di aiutarli a vivere d’arte attraverso tecniche di marketing, ma anche dal punto di vista dell’attitudine mentale e della motivazione.