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Sull’isola di Bergman, il nuovo film di Mia Hansen-Løve

Sull'isola di Bergman

Sull'isola di Bergman

Sull’Isola di Bergman, presentato in Concorso a Cannes 74, dal 7 dicembre al cinema il nuovo film di Mia Hansen-Løve

Sull’Isola di Bergman arriva una coppia, lui (Tim Roth) è un regista e lei (Vicky Krieps) sceneggiatrice, vogliono ritrovare l’ispirazione, catalizzare la forza creatrice, la cultura, le idee e l’estro del Maestro. Sono una coppia moderna, hanno una figlia (lasciata a casa) e tra loro si chiamano “amici”, ognuno un po’ per conto suo. Hanno l’aspetto (e l’atteggiamento) degli intellettuali “parvenu”; vivendo nei luoghi e respirando l’aria respirata da Ingmar Bergman si mettono al lavoro contemplando le meraviglie di una vita semplice, scandita dalla lentezza e dai colori tesri dei paesaggi baltici. Tra di loro regna un’aura di l’incomunicabilità. Lei insegue, lui scappa (sembrerebbe), forse hanno concezioni diverse del significato di indipendenza.

Dopo essersi ambientati, lui si lancia in un tour organizzato dell’isola con tanto di bus brandizzato Bergman, per scoprire i luoghi immortalati dal regista svedese nelle sue pellicole (per scoprire poi che la visita alla casa di Come in uno specchio è in realtà una sosta davanti a un muretto spoglio: la casa era finta, una facciata scenografica smontata a fine riprese, o che il paesaggio nel frattempo è cambiato, mutato – la camera da letto di Scene da un matrimonio invece esiste davvero, ci dormono dentro). Lei, grande fan di Bergman che non ha mai visto Il Settimo Sigillo, preferisce dare buca al tour turistico e visita l’isola con un ragazzo del posto, studioso di cinema (scappato all’apparenza da un film di Wes Anderson), scopre così posti magici e segreti fuori dalle rotte commerciali. Forse c’è del tenero.

SULL’ISOLA DI BERGMAN

SULL’ISOLA DI BERGMANMia Hansen-Løve (Le cose che verranno, Eden) ci porta a Fårö, l’isola su cui ha vissuto e lavorato Ingmar Bergman, il regista simbolo del cinema europeo, amatissimo dai cineasti di tutto il mondo (tra gli altri Woody Allen che l’ha ampiamente omaggiato nel corso della sua carriera), per raccontare il processo di scrittura e creazione con cui la protagonista riuscirà a emanciparsi, trovando l’equilibrio e la libertà per dare voce alle proprie emozioni.

Ovviamente Sull’isola di Bergman (Bergman Island) è un film sull’amore per il cinema, la creatività, la forza pervasiva della scrittura sulla realtà (e viceversa), dove realtà e finzione, passato e presente, sogno e veglia si alternano tra loro. Mia Hansen-Løve racconta con tocco sobrio una storia senza grandi slanci e su tutto regna il torpore di Fårö. Nella seconda parte ai protagonisti si sovrappongono i loro alter ego (Mia Wasikowska e Anders Danielsen Lie), in un gioco metacinematografico simpatico, ma fin troppo banale (non manca il ballo catartico al karaoke con pezzo gigione degli ABBA). Ne esce una pellicola contemplativa, senza coinvolgimento o peso emotivo, con personaggi vaghi, distanti e privi di interesse, più un esercizio culturale di dimensioni minute che un manifesto sulla forze invisibili che governano la creatività e le dinamiche di coppia.

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