La mostra personale “Jenny Saville” a cura di Sergio Risaliti a Firenze, si caratterizza come un progetto di esposizione diffusa nella città, accolta dal Museo Novecento, Museo di Palazzo Vecchio, Museo dell’Opera del Duomo, Museo degli Innocenti e Museo di Casa Buonarroti, in una prospettiva di coesione fra istituzioni e supporto all’arte contemporanea. Visitabile fino al 20 febbraio 2022, la mostra raccoglie un vasto corpus di opere, che spaziano dai lavori degli anni Novanta fino ad opere d’arte specificatamente concepite per questi spazi.
Il percorso espositivo è un manifesto del legame viscerale tra l’artista e i grandi maestri del Rinascimento italiano, in particolar modo della sua venerazione per Michelangelo Buonarroti. Nel maestoso Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, si staglia l’imponente e monumentale Fulcrum, olio su tela del 1998/1999 e pilastro della sua produzione, parte della prima mostra personale “Jenny Saville: Territories” alla Gagosian Gallery nel 1999, che la consacrò come artista. In questo lavoro sono ben evidenti la pratica formale e le tematiche a lei care: in un abbraccio di masse corporee, di carni, ben definite anatomicamente nei loro dettagli più veri e “imperfetti”, vengono rappresentate delle presenze femminile dal carattere universale, senza indugio sul concetto di individualità. La loro portata scultorea dialoga dialetticamente con i capolavori presenti nella sala, quali gli affreschi realizzati da Giorgio Vasari e dalla sua scuola, oppure i gruppi con le Fatiche di Ercole (1562-1584) di Vincenzo de’ Rossi o ancora il Genio della Vittoria (1532-34) di Michelangelo.
Al Museo Novecento, viene esposto un cospicuo insieme di dipinti e disegni realizzati dagli inizi degli anni Duemila fino ad alcuni mesi fa. Il modus operandi dell’artista, nel corso del tempo, si arricchisce grazie ai soggetti osservati durante i viaggi, gli stimoli e le ispirazioni raccolte, che hanno fondamenta fin dall’arte più antica agli odierni graffiti; rimane però costante e fondamentale il lavoro svolto nello studio, fatto di profonda ricerca e dedizione. Jenny Saville si muove nello spazio liminale tra figurativo ed astratto, sempre più spesso partendo da un fondo di astrazione prodotto con la tela distesa al pavimento, in un processo di nuovo a metà fra due mondi, il razionale e l’irrazionale, che si battagliano. Da questo strato, frequentemente nato dall’osservazione delle condizioni metereologiche, della natura, dei fiori, escono fuori i volumi, per lei così importanti e anche destabilizzanti quando emergono. I nasi, gli occhi, la dentatura sono dettagli a cui l’artista dedica tutta se stessa, con l’apprendimento delle lezioni anatomiche e sul colore dei grandi autori come Rembrandt o Rubens. In molte opere al Museo Novecento sono raffigurate le modelle fotografate durante un soggiorno in Russia, che ha decisamente segnato la propria arte.
La posa frontale di questi essere umani, ripresi in una prospettiva dal basso, in scorcio e con lo sguardo rivolto in alto, costituisce una porta verso mondi intimi e globali. Ciò che la società etichetta come difetto, ostacolo e mancanza, viene da lei esaltato, per esempio in Rosetta II (2005 – 06), dipinto collocato sopra l’altare all’interno della ex chiesa dello Spedale, in cui una giovane non vedente conosciuta dalla Saville viene mostrata come un cantore cieco o una mistica in estatica concentrazione. Non è casuale che proprio quest’opera possa essere osservata sia di giorno che di notte e guardi all’antistante Piazza Santa Maria Novella e all’omonima basilica, tramite l’apertura di una vetrina fortemente voluta dal direttore Risaliti.
La maestria di un artista come Jenny Saville, è riscontrabile inoltre nella capacità di interiorizzare vicende biografie come la maternità e restituirne messaggi di carattere cosmico. La nascita, generazione di membra all’interno di un altro corpo, influenza il modo di stesura del tratto nei suoi disegni, che divengono proliferazioni di molteplicità. I segni dei vari schizzi e strati lasciati in evidenza, non sono un errore ma una fortuna, espressione di libertà e produzione di vita. Nel Museo degli Innocenti, fra le opere Madonna col Bambino (1445-50 ca) di Luca della Robbia e la Madonna col Bambino e un angelo (1465-76) opera giovanile di Sandro Botticelli, si dispone il grande quadro dell’artista britannica titolato The Mothers (2011), all’interno di un edificio da secoli devoto all’impegno in termini di accoglienza e tutela dell’infanzia. In questi spazi è esposto anche un secondo disegno, Byzantium (2018) in cui la maternità si declina per mezzo di una diversa versione di Pietà e nel tema della perdita.
Il ponte fra passato e presente che caratterizza l’arte di Jenny Saville, è ben sottolineato dalla sua presenza con disegni e dipinti a Casa Buonarroti, luogo della memoria e celebrazione del genio di Michelangelo, dove sono preservate altresì le ricche collezioni d’arte della famiglia. La fascinazione per il celebre Cartonetto (Madonna con Bambino del 1525 circa) del Buonarroti, ammirato durante un sopralluogo dall’artista inglese, ha condotto all’esposizione, in dialogo con quest’opera, di alcuni disegni della Saville come Study for Pentimenti III (sinopia) e Study for Pentimenti IV (after Michaelangelo’s Virgin and Child).
L’urna cineraria etrusca, parte della collezione di questa piccola gemma del panorama museale fiorentino, si accosta invece al dipinto Compass (2013) che tratta tematiche fortemente connesse alla realtà contemporanea. L’universalità che Jenny Saville vuole esprimere, passa anche dall’ibridazione della sessualità, nulla è incasellato in confini netti, tutto diviene fluido e scardinato dall’appartenenza a generi o mondi.
La mostra termina con il confronto diretto fra un disegno dal grande formato Study for Pietà (2021) e la Pietà Bandini (1547-55 circa), una delle ultime fatiche di Michelangelo, che ha luogo nel Museo dell’Opera del Duomo, parte del complesso monumentale dell’Opera di Santa Maria del Fiore. La connessione fra questi due artisti diviene palpitante in questa istituzione: il “non finito” michelangiolesco, con i suoi giochi fra il marmo levigato e quello lasciato grezzo, è la stessa procedura che la Saville sceglie di utilizzare nei suoi lavori, punto di incontro fra astrazione e figurazione. Come Michelangelo costruiva le masse scultoree tirandole fuori e avendole visualizzate in potenza nel blocco di marmo, così l’artista contemporanea dà forma ai volumi pittorici formali nel fondo astratto, aderendo alla stessa tendenza per il rischio e libertà.
In Jenny Saville l’arte è un dialogo irrisolto fra materiale e immagine, con una leggerezza nell’approccio ed un iperrealismo bilanciati armoniosamente; un viaggio quotidiano verso l’ignoto quello dell’artista, che è totalmente rinascimentale pur nella propria contemporaneità. Jenny Saville dimostra una multidisciplinarietà in tutto simile a quella dei grandi maestri, unendo nella propria prassi riferimenti a musica, poesia, letteratura e mito, e abbracciando e rappresentando un senso di “tragedia speranzosa”, se così possiamo definirla. La pittura con lei si apre a inizi e esiti continui e nuovi, radicati in un’eredità passata quanto mai attualizzata, dove l’elemento considerabile come disturbante, emana bensì una visione totalmente positiva, consapevole e fiduciosa.