Per un anno non si è parlato d’altro, ma la passione si è già spenta: da quando è arrivato al cinema House of Gucci, il nuovo film di Ridley Scott sull’omicidio di Maurizio Gucci con Lady Gaga nei panni di Patrizia Reggiani, non interessa già più a nessuno
Se esistesse un premio Oscar® per i film più sponsorizzati dell’anno, non ci sarebbero dubbi sul vincitore del 2021: House of Gucci, il giallo di Ridley Scott sull’omicidio di Maurizio Gucci (Adam Driver) architettato nel 1995 dall’allora ex-moglie Patrizia Reggiani, interpretata da un’intrepida Lady Gaga (sinceramente, chi altri avrebbe potuto?).
Le prime foto sono apparse su Twitter a marzo, ritratti improbabili di una Gaga in versione Grease che passeggiava in via Festa del Perdono, davanti alle alte mura dell’Università Statale di Milano, dentro e fuori dalle librerie Cortina (un piccolo Easter-egg per chi ha fatto la Statale). Da quel momento non si è parlato d’altro. Gli ultimi mesi, poi, sono stati un incubo: Lady Gaga era ovunque, letteralmente ovunque, improvvisamente folgorata sulla via di Damasco, in grado solo di piangere e ringraziare. Un viaggio promozionale che l’ha portata anche da Fazio, con una gran commozione da esibire. Però lei ne è uscita contenta, ha lanciato i fiori al suo pubblico di “little monster” (semper fidelis) e qualche giorno dopo ha raccontato l’esperienza da Fazio a Good Morning America, per la gioia del Social Media Manager di Che tempo che fa.
Dopo premiere in tutte le città d’Europa e d’America, outfit non by Gucci, interviste e conferenze stampa, House of Gucci è uscito in tutte le sale italiane il 16 dicembre, (insieme a Diabolik dei Manetti Bros), quasi un mese dopo l’uscita negli Stati Uniti, dove nel primo fine settimana ha incassato 21,8 milioni di dollari e si è posizionato al terzo posto del botteghino. A pochi giorni dal debutto, però, sembra che a nessuno gliene freghi più niente. E un motivo, sotto sotto, ci sarà.
Liberamente tratto dal libro House of Gucci. Una storia vera di moda, avidità, crimine (The House of Gucci: A Sensational Story of Murder, Madness, Glamour, and Greed) (come si fa in questi casi di cronaca nera), House of Gucci racconta (con qualche libertà creativa) la storia vera della famiglia che ha fondato la casa di moda italiana forse a oggi più famosa del mondo. A metà tra il biopic e il giallo, il film ripercorre gli anni di tre generazioni di Gucci attraverso tre decenni di sesso, potere, creatività, ambizione e sigarette.
Sul successo di Gucci, onestamente, non c’è niente da aggiungere: negli ultimi anni il brand, sotto la direzione creativa di Alessandro Michele, ha raggiunto vette invalicabili. Non esiste star che non abbia indossato Gucci almeno una volta, anzi, quelle che non l’hanno fatto non sono neanche più degne di essere definite tali. Siamo al punto in cui è Gucci stesso a decidere chi deve essere/tornare a essere una star (vedi i Måneskin, supportati in pieno dalla maison, ma anche il ripescaggio di Macaulay Culkin e Gwyneth Paltrow). Va da sé che, per un’operazione del genere, si doveva mobilitare una squadra di pezzi da novanta, a partire dal regista.
E così arriva Ridley Scott. In quel di Hollywood, in effetti, Ridley Scott è un animale fantastico di rara fattura: e dove altro lo trovi un regista in grado di sbancare al botteghino con un film come Blade Runner e poi saltare di palo in frasca e dirigere Thelma e Louise, forse l’ultimo grande road movie degno di essere definito tale? Una mente creativa che firma Il Gladiatore, il più celebre dei film in costume, e vent’anni dopo un film sulla famiglia Gucci (vabbè che poi, a modo suo, anche quello è un film in costume). Insomma, se la versatilità è un dono, Ridley Scott è Babbo Natale.
Al suo cospetto un cast d’eccezione, il sogno di tutti i Ridley Scott: Lady Gaga (ormai senza pudore), Jeremy Irons (nel ruolo che avrebbe dovuto essere di Robert De Niro), Adam Driver (peggio del prezzemolo), Al Pacino (che a conti fatti è quello che ne esce meglio, l’unico in grado di reggere una sceneggiatura grottesca senza diventare lui stesso grottesco) e Jared Leto (a conti fatti probabilmente è quello che ne esce peggio). Intorno a loro, chi più ne ha più ne metta: Salma Hayek ingiustamente carcerata nel ruolo indegno di Giuseppina Auriemma, la cartomante condannata a 25 anni di carcere per favoreggiamento nell’omicidio. Ma anche Vincent Riotta nei panni del padre della Reggiani. A un certo punto c’è anche Madalina Ghenea, vediamo chi la trova per primo.
Ma si sa, più in alto si vola, più fa male la caduta. E le critiche non si sono fatte attendere. Il capo d’accusa principale è l’accento di Lady Gaga: che italiano maccheronico sembra russo e stona con tutti i “buonasera” e “amore mio” che spuntano qui e là. Ma la polemica non ha risparmiato nessuno, nemmeno Ridley Scott, colpevole di non essere stato all’altezza dei suoi grandi successi (non dimentichiamo, però, che negli ultimi anni ha fatto film come Robin Hood, con un Russell Crowe in calzamaglia, o Exodus – Dei e re, che ti fan dire che forse House of Gucci non è il suo peccato più grande). Per non parlare del teatrino su quanto sarebbe stato bello il film se fosse stato girato da un regista italiano, perché si sa, in Italia gli stereotipi fanno ridere soltanto quando non sono sugli italiani.
A conti fatti, comunque, il film non è così brutto. L’unico vero difetto di House of Gucci è quello di non essere abbastanza tamarro. Le vacanze a Saint Moritz, il monogram, i gioielli costosi, il design degli anni Settanta, un’arrampicatrice sociale che si trucca da sola… il soggetto aveva tutte le carte in regola per essere un po’ più trash, solo quel pizzico in più che gli sarebbe servito a diventare iconico.
La verità è che House of Gucci è una mini-serie rubata a Ryan Murphy. Sì, è vero che non può essere sempre Ryan Murphy ad accaparrarsi il materiale camp, ma soltanto lui avrebbe avuto il coraggio di chiedere ad Adam Driver di sfilarsi i pantaloni e rimanere in mutande bianche (stile anni Settanta) davanti a Lady Gaga. Al contrario Ridley Scott è un grande imprenditore del cinema, lavora sodo e non perde tempo in virtuosismi stilistici che piacciono solo a quelli che amano dire quanto era bella la fotografia, né gliene frega niente di strizzare l’occhio al pubblico in streaming, quindi Adam Driver non resta in mutande.
“Bitch, your breath smell like some cigarettes”, rappava Lil Pump nel singolo Gucci Gang (2017). E chissà se aveva in mente proprio Patrizia Reggiani, che nel film fuma come una ciminiera. Ma al netto delle sigarette fumate da Lady Gaga (in questo davvero molto brava), l’impressione generale è che House of Gucci sarebbe stato meglio nelle mani dei fratelli Vanzina.