A conclusione dell’anno dedicato a Dante Alighieri (1265-1321), relativo al settimo centenario dalla morte, il Palazzo Reale di Napoli dedica una mostra al Sommo Poeta, curata dal direttore Mario Epifani e da Andrea Mazzucchi, fino al 1 marzo 2022.
Nel 1865, poco dopo l’Unità di Italia, ad omaggiare il poeta, scrittore e politico fiorentino e il primo re d’Italia, Vittorio Emanuele II (1820-1878), furono le tre tele dell’artista napoletano Tommaso De Vivo (1790-1884), ispirate alla Divina Commedia. Con la dismissione delle residenze dei Savoia (1919), questi dipinti vennero divisi tra il museo dell’Appartamento Storico e la Biblioteca Nazionale del Palazzo Reale di Napoli e la Reggia di Caserta. La fortuna di Dante favorì la creazione di opere d’arte, dalla pittura alle arti decorative, dai manoscritti alle illustrazioni satiriche.
Artista protetto da Ferdinando II di Borbone (1751- 1825), e allievo del pittore Vincenzo Camuccini (1771-1844), De Vivo era specializzato soprattutto in ritratti di personaggi storici. Mostrò interesse verso l’Accademia di Francia a Roma e alla pittura francese ispirandosi a Louis Léopold Robert (1794-1835). Studiò principalmente all’Accademia di Belle Arti di Napoli e nel 1838 fu membro della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon.
Alla mostra si accede dall’Ambulacro, al termine del percorso di visita dell’Appartamento Storico. Attraverso la “Galleria del Genovese”, che un tempo costituiva il collegamento tra il Palazzo Reale e il Teatro di San Carlo, il visitatore si immerge nel percorso espositivo nel corridoio che, in occasione della mostra, si trasforma in una selva di immagini in movimento grazie alle installazioni multimediali che amplificano l’effetto riflettendosi sulle specchiere ottocentesche che lo arredano. Alla fine della Galleria sono proiettate le immagini del velario del Teatro con Apollo che presenta a Minerva i poeti e gli artisti più celebri di ogni tempo, tra i quali appaiono Virgilio e Dante con Beatrice.
Le tre tele raffiguranti episodi dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, furono dipinte in vista del sesto centenario della nascita di Dante. Nella prima sala, nel dipinto dell’Inferno, il pittore illustra l’incontro tra il Sommo Poeta e Virgilio con i grandi dell’antichità (Omero, Orazio, Ovidio e Lucano) nel Limbo (Canto IV), sede degli uomini giusti che non poterono conoscere Cristo. Egli ritrae i due protagonisti ai piedi del castello circondato da sette giri di mura e sette porte, numeri simbolici relativi alle arti del trivio e del quadrivio e alle sette virtù liberali. La fortezza accoglie gli spiriti nel primo cerchio, dove sono collocati le personalità del mondo pagano, che non conoscendo Cristo, poterono intravedere, senza raggiungerlo, un barlume della Verità Trascendente, circoscritti come erano nei limiti della umana ragione, in una atmosfera cupa, dai toni plumbei, poiché non illuminata dalla luce di Dio e vivificata dalla sola tunica rossa di Dante tra le anime sospiranti. I personaggi del Limbo, infatti, non sono condannati a pene corporali, poichè non commisero colpe, ma soffrono per il desiderio di Dio. Il pittore raffigura Virgilio nell’atto di indicare a Dante una schiera di persone che avanza verso di loro. La guida è una figura maschile austera di grande dignità che cammina ad occhi chiusi perché cieco. Si tratta di Omero, raffigurato con una spada simbolo della poesia epica. Dietro di lui, reggendo il testo delle sue satire, è rappresentato Orazio. Di Ovidio, invece, si intravede solo il volto, mentre chiude il corteo, Marco Anneo Lucano, recante nelle mani i manoscritti dei suoi Pharsalia. Ai piedi delle figure emergono dalla terra anche due bambini, poiché nel Limbo erano collocati anche i piccoli, morti prima di ricevere il sacramento del Battesimo. Dante, in questo episodio, viene ammesso alla schiera dei grandi poeti, divenendo il sesto tra cotanto senno, legando la nostra tradizione letteraria a quella della antichità.
Nella seconda sala, la scena tratta dal canto XXIX del Purgatorio raffigura un carro a due ruote, simbolo della Chiesa trionfante, che incede verso il poeta annunciando l’apparizione di Beatrice. Questo dipinto dialoga in sala con altre opere di soggetto dantesco prodotte a Napoli intorno alla metà dell’Ottocento. Con un riferimento tratto dal secondo canto del Purgatorio nel 1844, Domenico Morelli (1823-1901) vinse il concorso indetto dal Real Istituto di Belle Arti di Napoli. Acquistata dai Borbone, la tela fu collocata nel palazzo della foresteria, oggi sede della Prefettura. Il purismo accademico dell’opera si apre a influssi della pittura francese, mentre il dipinto Dante nello studio di Giotto, di Luigi Stanziano (1815-1866) si allinea alla pittura di storia, tra accademismo e Romanticismo. Sempre alle collezioni ottocentesche di Palazzo Reale appartengono i quattro vasi in porcellana, presenti in sala, con ritratti dei maggiori poeti italiani tra il 1300 e il 1500: Dante Alighieri (1265-1321), Francesco Petrarca (1304-1374), Ludovico Ariosto (1474-1533) e Torquato Tasso (1544-1595). A chiusura del Purgatorio, l’album di litografie del pugliese Antonio Manganaro (1840-1931), pubblicato nel 1871, che illustra in tono satirico la prima Esposizione Internazionale Marittima d’Italia, inaugurata alla presenza di Umberto e Margherita di Savoia. Immaginandosi nelle vesti di Dante, accompagnato da uno scheletrico Virgilio, Manganaro osserva le macchine, i prodotti e le invenzioni esposti alla mostra, tra caricature di personaggi dell’epoca: la fortuna del Sommo Poeta si presta a una lettura di irriverente attualità.
Nell’ultima sala, il quadro dedicato al Paradiso di De Vivo, sintetizza il contenuto dei canti XXIV-XXVII, “la gloria e il gaudo dei beati”: Beatrice presenta Dante a San Pietro, che lo interroga sul significato della Fede alla presenza di San Giovanni Evangelista, di San Giacomo e di Adamo. Guidato dalla donna amata nella giovinezza e prematuramente morta, il poeta attraversa, in un tripudio di luci e di suoni, i nove cieli del Paradiso, confrontandosi con diversi gradi della beatitudine e giungendo finalmente nell’Empireo, dove è ammesso a contemplare la visione di Dio.
Il viaggio di Dante non si conclude qui: egli intende riportare sulla Terra, attraverso il suo racconto, il significato delle Verità Trascendentali apprese. Il messaggio di salvezza è universale, che il poeta deve rivelare per fondare la comunità, saldarla insieme, e guidarla fuori dallo smarrimento. Oltre la barriera di sette secoli, la Divina Commedia continua a farci vivere, attraverso il fascino meraviglioso e inestinguibile della sua lingua e delle sue invenzioni, una molteplicità di esperienze simulate, a farci credere reali come oggetti del mondo esterno prodotti che sono, invece, l’esito di un gratuito e spiazzante gioco di fantasia. Dante rappresenta la sua esperienza in modo tale che ogni lettore può riconoscervi la propria: nel suo destino individuale, che va dalla caduta al riscatto, è racchiuso il destino di ogni uomo.