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A Palazzo Barberini la prima retrospettiva dedicata agli scatti astratti di Giuseppe Loy

Giuseppe Loy. Ortisei, (BZ) 1959. Foto bn

Giuseppe Loy. Selva di Val Gardena (BZ), 1960. Foto bn

Ci troviamo  nelle Cucine Novecentesche di Palazzo Barberini a Roma, a degustare – la sinestesia ci è offerta dal genius loci- la prima retrospettiva dedicata a Giuseppe Loy (Cagliari, 1928-  Roma, 1981), poeta e fotografo, a quarant’anni dalla sua prematura scomparsa. Il cognome ci è familiare, grazie alla fama del fratello maggiore Nanni, il brillante regista noto al grande pubblico per aver introdotto in Italia il genere televisivo della Candid Camera.

La mostra è ospitata al pianterreno del Palazzo, nei nuovi spazi aperti al pubblico per la prima volta circa un anno fa: la Sala delle Colonne e le Cucine Novecentesche, così chiamate, queste ultime, per l’uso che ne fu fatto durante la permanenza del circolo Ufficiali delle Forze Armate, trasferitosi nel 2006. Ed è stata realizzata dall’archivio fotografico Giuseppe Loy, con la Media Partnership di Rai Scuola e con la curatela di Chiara Agradi e di Giovanni Loy, figlio dell’artista il quale, poco prima di morire, stava lavorando, per l’editore Laterza, ad un libro che si sarebbe dovuto chiamare “Una certa Italia”: da qui il titolo della mostra, quasi a voler riannodare un filo troppo presto reciso.

Leggiamo da un dattiloscritto autografo pubblicato in catalogo: “Per meglio chiarire, non si tratta di cercare nel mondo del fotografabile la forza con cui si affacciano nel quadro certi volti di Antonello da Messina o le masse aprospettiche di un Paolo Uccello: si tratta invece di ritrovare nel rettangolino della macchina – ritrovare fulmineamente (e qui sta il gioco) – la massa di suggerimenti formali che nel tempo abbiamo riposto in “immaginoteca” grazie al particolare interesse che abbiamo più o meno consapevolmente coltivato per quell’aspetto delle cose viste. Con questo si cerca di dire che di tutti gli artisti – di quelli amati, s’intende – forse resta nel rettangolo della macchina qualche cosa del loro “impianto”: larghezza di superfici monocrome, enfatizzazioni di primi piani o quinte, apparenti casualità di dettagli, leggerezza di invenzioni tonali, alcune volute pesantezze di colore…”.

Giuseppe Loy. Alberto Burri, 1966. Foto bn

Questa lunga citazione ci sembra utile a sunteggiare, con efficacia, il tratto saliente di una ricerca estetica che non trova il proprio focus nel soggetto da immortalare nell’attimo fuggente dello scatto ma che, piuttosto, confida nella discrezione sapiente di uno sguardo nutrito di immagini d’arte e di memorie di vita vissuta: ed è proprio questo sguardo – talora “astratto”, talvolta “informale” – che, gestalticamente, sempre affiora dallo sfondo sobrio costituito dai soggetti apparenti dell’inquadratura: siano essi gli amici Afro, Burri o Fontana; siano scene di vita o paesaggi, siano le sale della Biennale veneziana del ’66.

Giuseppe Loy. Ortisei, (BZ) 1959. Foto bn

Giuseppe Loy. Una certa Italia. Fotografie 1959-1981

 8 dicembre2021 – 27 febbraio 2022

a cura di Chiara Agradi e Angelo Loy

 Gallerie Nazionali di Arte Antica – Palazzo Barberini

Via delle Quattro Fontane 13, Roma

www.barberinicorsini.org

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