La fotografia, ma ogni forma di scrittura, ha il compito immaginifico e al contempo analitico di restituire situazioni, luoghi, fatti, l’incedere della Storia o delle storie.
È l’incipit della quarta di copertina del nuovo libro realizzato dalla Società Umanitaria di Milano ed edito da Silvana Editoriale, La collezione involontaria. Un progetto che ha visto Mattia Balsamini, Gianni Pezzani, Allegra Martin e Fabiana Toppia Nervi che ha realizzato il backstage, protagonisti di una campagna fotografica che ha interessato gli spazi dell’ente milanese con un focus particolare sulla collezione d’arte da poco riscoperta e valorizzata. Il libro, curato da Andrea Tinterri e Luigi Attilio Brianzi, che vede la partecipazione di Carla Valentino con il testo Echeggiano passi, si inserisce nel corso di un rinnovato rapporto tra arte e Società Umanitaria che ha visto quest’ultima, anche durante il lockdown, continuare la propria attività di confronto culturale.
A testimoniare questa nuova attenzione è il manifesto dell’arte libera che conclude il libro; un testo programmatico voluto dal presidente Alberto Jannuzzelli per sottolineare il ruolo della Fondazione verso la ricerca contemporanea. Infatti il valore della pubblicazione risiede anche nella scelta dei fotografi capaci di tracciare una nuova identità iconografica della Società Umanitaria di Milano, immagini che testimoniano non solo la presenza di una collezione, ma un passaggio drammatico come quello vissuto negli ultimi due anni. Le opere si affrancano dalla parete e occupano gli spazi lasciati deserti dalla pandemia, le opere si sostituiscono ai lavoratori, agli utenti, agli studenti che solitamente frequentano gli antichi chiostri. Ed è anche questa nuova e inedita occupazione ad identificare un momento della Storia privata e collettiva. Solitamente lo scopo di una campagna fotografica è verificare lo stato di salute, la situazione contingente di un territorio, di uno spazio più o meno vasto, diventando una sorta di termometro visivo.
Ed è il presupposto che ha accompagnato i due anni di lavoro dei quattro fotografi che si sono dovuti confrontare anche con un’ingente ristrutturazione degli spazi dell’ente milanese, quest’ultimo aspetto è sottolineato soprattutto negli scatti di Mattia Balsamini e Allegra Martin in cui si evidenziano tendaggi trasparenti a salvaguardare alcuni ambienti o oggetti. Un segnale di transitorietà e di trasformazione, un passaggio fisico che sembra assecondare una Storia universale, come a creare una lucida metafora visiva.