Quayola si presenta a Roma a Palazzo Cipolla con Re-coding, mostra di arte multimediale che abbraccia l’intera produzione dell’artista dal 2007 al 2021
Tra i più noti esponenti della media-art, Quayola si presenta a Roma a Palazzo Cipolla con Re-coding, una mostra di arte multimediale che abbraccia l’intera produzione dell’artista dal 2007 al 2021. Esposta nel museo romano fino al 30 gennaio, la personale dell’artista ammicca alla tendenza sempre più diffusa del cross-collecting, ospitando sculture di materiali diversi, opere-video e stampe a getto d’inchiostro. Nato a Roma e di adozione londinese, Quayola vanta già una fama internazionale; i suoi lavori sono stati accolti a Londra, New York, Pechino, Shangai, Tokyo, Bruxelles, Parigi. Tre le aree tematiche affrontate: l’iconografia classica, le sculture non finite e la tradizione della pittura di paesaggio.
L’artista si avvale di sistemi robotici di intelligenza artificiale e di stringhe di codice generativo per avviare un’esclusiva indagine della storia dell’arte, con un evidente gesto di ri-codificazione. Facendo breccia nell’arte rinascimentale e barocca di Botticelli, Bernini, Raffaello e Rubens, Quayola intende creare e ricreare una tensione con le opere del passato. Quasi suggerendo la sua approvazione per il medievale motto citato da Giovanni di Salisbury nel suo Metalogicon: “Siamo nani sulle spalle dei giganti”. A sottolineare il vantaggio che ottiene l’uomo moderno nel trarre linfa dagli illustri predecessori.
L’artista sembra muoversi con agilità ed entusiasmo sul fecondo crinale di tradizione e innovazione. A questo proposito Emmanuele F. M. Emanuele, Presidente della Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, che ha reso possibile la realizzazione di Re-coding, ha dichiarato: “sono fermamente convinto che l’arte sia senza tempo […]. Mi piace ricordare il profondo legame che ravviso da sempre tra i graffiti del Cro-Magnon e la street-art degli anni sessanta/settanta del secolo scorso. Anche se gli uni erano in carboncino e ocra, stilizzati sulle pareti di una caverna, e l’altra in pittura acrilica, sui muri delle città metropolitane”.
Tra le opere dei grandi maestri l’artista predilige i bozzetti e i disegni preparatori. Poiché ciò che è incompiuto gli consente di allontanarsi dall’idea di rappresentazione, per concentrarsi sul processo. Il dialogo con i soggetti prescelti da vita a un’inedita poetica digitale dalle infinite possibilità di formalizzazione. Così, mentre Quayola è intento a studiare con occhio computazionale le variabili offerte dallo scandagliamento e dal processo, quest’ultimo diventa opera d’arte. È proprio attraverso il fine e poetico cesello digitale dell’artista che i curatori Jérôme Neutres e Valentino Catricalà auspicano di incuriosire anche i puristi della tradizione.
Roma protagonista
Fin dagli anni ’90 Palazzo Cipolla, nel cuore della capitale, ha collaborato con musei di tutto il mondo, alternando esposizioni di respiro occidentale a mostre sul mondo orientale, favorendo una koinè culturale e artistica aperta agli sperimentalismi e idonea ad accogliere un iter espositivo come questo, che sonda nuovi codici espressivi. La prima sala del museo è dedicata al rapporto dell’artista con la città eterna: veri protagonisti sono i rimandi a opere del passato, dall’arte classica fino al Seicento. Algide figure scultoree su piedistallo, in polvere di marmo e resina, sfaccettate a mo’ di pixel, informano di un meticoloso studio di Quayola sul soggetto del Laooconte e i suoi figli. Intanto, sul soffitto del medesimo ambiente una video-istallazione riproduce la volta della Chiesa del Gesù.
Non è un caso, forse, che fra tante chiese romane, Quayola abbia scelto gli affreschi della Chiesa madre dei gesuiti, affreschi che sfuggono ad una chiara definizione di stile, racchiudendo in sé elementi del Classicismo, del Manierismo e del Barocco. Il progetto Iconographies, negli ambienti successivi, è incentrato su antiche scene religiose e mitologiche e torna a sottolineare che il focus di Quayola è sul processo e sulla costruzione di un legame retrospettivo. L’astrazione, la combinatoria, la frantumazione delle forme e delle figure sono azioni artistiche che pur procedendo per sottrazione, cercano il dialogo con le opere di Artemisia e Orazio Gentileschi, Lavinia Fontana, Elisabetta Sirani, Paolo Veronese.
Caleidoscopi materici
I pannelli a stampa, contraddistinti da una alterità neofuturista, sono seguiti da opere video nelle quali antichi dipinti della storia dell’arte si sfaldano in rutilanti caleidoscopi materici. Solo di tanto in tanto emergono volti, corpi, dettagli. Quayola intende rivelare la forza espressiva dei capolavori con cui si misura, magnificandone la suggestione. Gli effetti sonori di fondo concorrono ad un’esperienza audio-visiva dal fascino sacrale e dicono delle precedenti collaborazioni dell’artista con orchestre e compositori sperimentali. Due sale, a metà percorso, sono dedicate alla dialettica tra scultura classica e mezzi robotici.
Il non finito michelangiolesco conduce l’artista alla realizzazione di curiose statue in poliurano. Una materia che, pur trattata mediante una macchina, conserva in sé il sapore antico dei fregi di schiuma. Elementi spumosi e cangianti, finemente scanalati e incisi, rincorrono le figure del Ratto di Proserpina e del Laooconte, rimanendo amorfi. La sezione conclusiva della mostra abbraccia il macro-tema della natura in arte. I pannelli verde scuro che guidano il fruitore sin dall’inizio del percorso assumono allora un senso preciso. L’arte gerativa di Quayola si fa anche mezzo di esplorazione del paesaggio. Il dialogo delle opere video è qui con la tradizione del puntinismo e dell’impressionismo e la seria botanica dei Jardin d’Eté e dei Pleasant Places sfidano Le ninfee dell’Orangerie di Monet.
Il corridoio finale riproduce un sentiero della foresta nella Vallèe de Joux. Un’infilata di stampe riportano abeti scansionati con laser ad alta precisione, immergendo lo spettatore in un mondo incantato. Dove la natura si presenta al contempo come familiare e insolita. C’è forse l’invito sussurrato a considerare l’ipotesi di un sentimento panico nuovo, postmoderno, appena prima del ritorno all’asfalto della via più commerciale del centro di Roma.
Francesca de Paolis