La storia di Hannah Höch (1889-1978) testimonia come anche i movimenti artistici più rivoluzionari abbiano sofferto di un intrinseco maschilismo. Per fortuna l’artista dadaista è riuscita ad emergere, grazie al suo talento e a una determinazione ferrea.
I collage sono la prova evidente che nell’arte niente si origina dal niente. Con lo stesso senso deterministico, i collage non potevano che diventare il simbolo espressivo prediletto di chi il determinismo lo ripudiava al pari di ogni altra forma d’ordine: i dadaisti. Il collage era la soluzione perfetta per esprimere il loro disagio, sviluppatosi nella prima metà del XX secolo in seguito al fallimento di qualsiasi tipo di ideologia. Nei collage gli stimoli della storia – a cui i frammenti di immagini fanno riferimento – si perdono in una ridistribuzione dell’ordine che non tiene conto di alcun senso se non quello della sensibilità dell’artista. D’altra parte, lo sappiamo, Dada non significa nulla. Ma per davvero, non ha una ragion d’essere se non il caso. Nato in Svizzera dalla penna del suo ideatore Tristan Tzara, il dadaismo è un movimento dalla spiccata pars destruens. Faceva polemica nei confronti della politica, dell’uomo, della filosofia, dell’arte, della società. Insomma, contro tutte le forme istituzionalizzate d’umanità.
In Germania, la maggior parte degli artisti Dada erano uomini – George Grosz, Raoul Hausmann (un emigrato austriaco) e Kurt Schwitters, per esempio – e la loro arte riflette appieno lo sbilanciamento di genere. Un famoso esempio può essere The Art Critic (1919–20) di Hausmann, che difatti offre una prospettiva spiccatamente maschile. L’opera presenta un uomo con i vestiti e la testa provenienti da “fonti” diverse. Brandisce una matita massiccia, che parte dal suo inguine per diventare un simbolo fallico che collega potere, arte e virilità.
Hannah Höch, una delle poche donne riconosciute dal movimento, ha invece offerto un’antitesi rinfrescante a tali costruzioni maschiliste. I suoi montaggi offrono visioni caleidoscopiche della cultura tedesca tra le due guerre, spesso da una prospettiva femminista e spiccatamente queer.
Höch nacque nel 1889 a Gotha, nella Germania centrale. Nel 1912 si trasferì a Berlino per frequentare la Scuola di Arti Applicate. Studiò lavorazione del vetro e design artistico del libro, con una pausa forzata durante la guerra, quando lavorò per la Croce Rossa. Dopo la fine della guerra, nel 1915, Höch incontrò Hausmann, che la introdusse alla cerchia di artisti Dada e divenne suo amante.
Nonostante la notevole abilità di Höch, la coorte di Hausmann non la prese sul serio e quasi rifiutò la sua partecipazione alla Prima Fiera Internazionale del Dada, tenutasi a Berlino nel 1920, un’importante vetrina inaugurale per il movimento. Il pittore Hans Richter, per citare un esempio denigratorio, la definì una “brava ragazza”. Ma non furono solo i dadaisti a respingere Höch a causa del suo essere donna. Nel 1951, l’artista americano Robert Motherwell non la incluse nella sua antologia sul movimento, intitolato Dada Painters and Poets.
Uno dei primi lavori di Höch, Cut with the Dada Kitchen Knife through the Last Weimar Beer-Belly Cultural Epoch in Germany (1919), è tra i suoi più famosi. Il collage in formato poster presenta un tripudio di immagini sovrapposte così diverse che la composizione a prima vista appare caotica e impossibile da analizzare. Un’estetica perfetta per un artista interessata al rumore senza senso della vita moderna, un sentimento pienamente espresso anche dal titolo dell’opera.
A un esame più attento emergono due distinti gruppi di immagini: quelle delle persone e quelle delle macchine. L’intenzione è di evocare il conflitto tra umanità e meccanizzazione. Nel complesso, l’opera trasuda l’energia frenetica di una società che sta uscendo dal conflitto mondiale e che spinge per una rapida industrializzazione. Qualcuno ipotizza inoltre che la cartina dell’Europa posta nell’angolo inferiore destro evidenziati i paesi in cui al tempo alle donne era concesso di votare.
Nonostante i disordini politici ed economici, le donne tedesche ottennero il suffragio nel 1918 e la Repubblica di Weimar porto le differenze di genere ad assottigliarsi. D’altra parte i diritti legali e la partecipazione politica rimanevano circoscritti e, anche una volta avuto accesso al mondo del lavoro, le donne si dovettero accontentare dei lavori meno pagati. Dovendo mantenere, inoltre, tutti i loro doveri di casalinghe.
Höch ha affrontato tale discriminazione di genere in montaggi come The Beautiful Girl (1920). L’opera raffigura una donna che, mentre lavora, non ha una lampadina al posto della testa. Uno pneumatico per auto e una leva la bloccano da entrambi i lati. I loghi BMW si moltiplicano dietro di lei, mentre una mano che tiene un orologio da taschino emerge da dietro un pouf di capelli. Le aziende e le nuove tecnologie, a quanto pare, hanno superato l’individualità del soggetto, mentre l’orologio suggerisce le nuove modalità di monetizzare tempo e lavoro.
Tuttavia, Höch, che ha sempre tenuto i capelli a caschetto e un aspetto androgino, ha trovato libertà nella presentazione di sé, nella pratica artistica e nella vita personale. Lasciò Hausmann nel 1922 e, quattro anni dopo, iniziò una storia d’amore con un’altra donna, la scrittrice Til Brugman. Dopo la fine della relazione, Höch sposò un giovane pianista di nome Kurt Matthies.
“Le sue mutevoli preferenze sessuali, ovviamente, non si riflettono direttamente nelle sue rappresentazioni”, scrive Levin. “Piuttosto, le sue immagini androgine descrivono un piacere nel movimento tra le posizioni di genere e una deliberata decostruzione delle rigide identità maschili e femminili”. Höch ha spesso annesso elementi etnografici sui corpi delle donne. Un modo per far saltare le norme di genere. Unendo un paio di seni con una maschera con zanne, per esempio; o accoppiando gambe con i tacchi alti a un busto di pietra e un viso mascolino baffuto.
Quando i nazisti salirono al potere all’inizio degli anni ’30, Höch rifiutò di lasciare il paese e la sua carriera ne risentì. I nazisti chiusero il Bauhaus di Dessau prima che Höch potesse esporre la sua mostra personale, prevista per il 1932. Il governo considerava il suo lavoro “degenerato”. Così lei si trasferì in una nuova casa fuori Berlino, come disse, per “sprofondare nell’oblio.” Tuttavia, la sua pratica artistica persistette; nel 1945, non molto tempo dopo la fine della seconda guerra mondiale, riprese ad esporre a livello internazionale e riuscì a farlo per il resto della sua vita.