Franco Maria Ricci, storica casa editrice parmense dedicata all’arte e alla cultura, rende omaggio ad alcune delle più belle città italiane attraverso una serie di pubblicazioni monografiche di alto spessore intellettuale e dalla pregevole estetica. Dedichiamo alla città di Bergamo il primo di sette appuntamenti per raccontare questa grande impresa editoriale.
Roma. A Bergamo, incastonata fra la Pianura Padana e le Alpi Orobie, si respira un’aura di raffinata provincia che custodisce tesori architettonici e artistici non troppo noti al grande pubblico. Per colmare la lacuna, e per rendere omaggio a una città che è stata simbolo della lotta alla pandemia e che nel 2023 sarà Capitale Italiana della Cultura insieme con Brescia, Franco Maria Ricci ha dato alle stampe, nei consueti tipi bodoniani, un raffinato volume monografico con i saggi di Giovanni Gavazzeni, Simone Facchinetti e Stefano Krause, impreziosito dalle immagini fotografiche formato testo scattate da Massimo Listri, capace di cogliere l’armonia delle architetture cittadine, dalla Basilica di Santa Maria Maggiore ai Palazzi Terzi e Moroni, e delle opere d’arte che le arricchiscono.
Nel suo saggio d’apertura, Gavazzeni ripercorre la storia della città, dalle origini galliche al Novecento, senza lungaggini accademiche ma attraverso un testo dalla musicale armonia, scritto per riecheggiare quell’armonia che caratterizza il territorio bergamasco, fatto di valli montane, laghi e corsi d’acqua, palazzi sontuosi, chiese, ville e cascine, colline coronate di boschi, orti e vigne; e la stessa città di Bergamo, con i suoi Borghi antichi accomunati da una coerenza di stili e colori delle facciate, sui quali si erge, “nota dissonante”, la Piazza Vecchia con il Duomo di Sant’Alessandro e il Palazzo della Ragione.
Epoche lontane che convivono ancora oggi e determinano la bellezza di una città dove, scrive ancora Gavazzeni, le arti e la cultura sono sempre state di casa. Lambita dall’Adda (che fece da guida a Renzo Tramaglino sulla via dell’esilio in quella che era allora terra veneziana), Bergamo è una città musicale, che dalla metà del Quattrocento vide svilupparsi una tradizione che ebbe vasto apprezzamento in Europa, considerando ad esempio che il poeta e madrigalista Giovanni Cavaccio fu maestro di cappella a Monaco di Baviera, mentre il violinista Pietro Antonio Locatelli fu apprezzato nel Settecento in più di una corte europea. In mezzo, prima del grande Donizetti, maestri d’organo, maestri campanari, compositori e operisti, molti dei quali diressero la Cappella Musicale di Santa Maria Maggiore, alternando il melodramma alla musica sacra. Bergamo città elegante eppure popolare, con quel dialetto aspro e dure come il vento e le rocce delle Alpi; quelle Alpi da dove la tradizione vuole sia disceso Arlecchino, precisamente da Oneta, borgo circondato da castagneti all’inizio della Valle Taleggio, e poi introdotto a Venezia dai bergamaschi che vi erano emigrati a metà del Quattrocento.
Non in secondo piano rimane la pittura, che conobbe il suo periodo d’oro durante i circa tre secoli e mezzo del dominio veneziano, fra il 1428 e il 1797, come ricostruisce Facchinetti nel suo saggio. Pur senza possedere troppi documenti, sappiamo dell’esistenza di una numerosa committenza privata, che arricchì la città di opere importanti, come il polittico di Lattanzio da Rimini ancora oggi conservato nella chiesa di San Martino oltre la Goggia. La cosa che più colpisce, è che molto spesso si trattava di gruppi di emigranti che si autotassavano per donare opere di prestigio alle parrocchie d’origine, spesso troppo povere per affrontare simili spese.
Nel primo Cinquecento, mentre il Lotto lasciava la città dopo un lungo soggiorno, vi tornarono però quegli artisti che, nati e formatisi a Venezia, avevano origini bergamasche: fra questi Andrea Previtali e Giovanni Cariani, mentre Simone da Santacroce e Palma il Vecchio, pur lavorando anche per la loro città, preferirono rimanere in Laguna. Assai composita è la storia artistica di Bergamo, che Facchinetti narra con perizia soffermandosi in particolare sul periodo fra il XVI e il XVIII Secolo, quando emersero i “Pittori della Realtà”, maestri del ritratto la naturale e del paesaggismo, secondo le nuove tendenze che giungevano dall’Europa settentrionale.
Scrivendo, Facchinetti racconta storie di artisti e di opere, e dalle sue pagine emerge anche quell’itinerario di chiese, palazzi e musei che li conservano ancora oggi. Le splendide immagini che accompagnano il saggio permettono al lettore di “entrare” nell’anima artistica di una città che, popolare e raffinata insieme, ebbe anche una certa tradizione militare. Ne traccia la storia Stefano Krause, nel suo saggio dedicato al condottiero Bartolomeo Colleoni, che in punto di morte chiese alla Repubblica di Venezia che gli fosse eretta una statua equestre in San Marco.
La Serenissima lo accontentò quasi alla lettera, posizionando l’opera in Campo Santi Giovanni e Paolo. Originario di Castello di Solza, nella campagna bergamasca, perse il padre, anch’egli capitano di ventura, quando era ancora bambino, ma riuscì a seguirne le orme e divenne appunto capitano generale delle truppe veneziane. La sua figura, fusa nel bronzo dalla maestria del Verrocchio, domina ancora oggi una delle più suggestive piazze della Serenissima. A Bergamo resta la Cappella Colleoni, realizzata da Giovanni Antonio Amadeo, che ospita anche il monumento funebre di Medea, figlia del celebre condottiero. La Cappella sorge di fianco alla Basilica di Santa Maria Maggiore.