Monica Vitti, in libreria la biografia autorizzata. La vita di un’attrice unica e amatissima attraverso la sua carriera, da Antonioni a Monicelli, dalle lacrime alle risate
Al cinema nemmeno la volevano, Monica Vitti, relegata a comparsa, chiusa in cabina di doppiaggio. La sua era una bellezza diversa, moderna e ieratica, la sua era un’idea di femminilità troppo in anticipo per gli umori dell’Italia del boom. Antonioni la nota per la sua nuca, dovresti recitare al cinema, le dice. Di spalle?, risponde lei. Diventa così la “musa dell’incomunicabilità”, un’attrice da film muto, dall’aria antica, eterna, drammatica e serissima. Monicelli però vede in lei, di sbieco, una comicità, nuova anch’essa, che “la Vitti” si portava appresso fin dalla sua formazione teatrale.
Monica Vitti ha rappresentato un nuovo modello di bellezza, di donna, di attrice drammatica e di attrice comica. Il cinema non sempre le ha capite, tutta questa novità, tutto questo talento. Non c’erano scatole per contenerla, dovevano essere inventate, che fatica!
Lei si è raccontata, a modo suo, in un’autobiografia (involontaria), Sette Sottane, ora in libreria arriva anche la biografia autorizzata firmata da Cristina Borsatti (Giunti, dal 23 febbraio) che ne ricostruisce la vita e, soprattutto, la carriera: dieci capitoli per raccontare Monica Vitti, dai primi lavori teatrali alla fama con Antonioni (angosce da colmare, vuoti e rovelli esistenziali), dai ruoli da protagonista nella commedia all’italiana (la prima, una pioniera, comica ma sensuale), fino agli anni ‘90, tra teatro e piccolo schermo.
Restia al mercato internazionale, dopo il successo con Antonioni (L’Avventura, La Notte, L’Eclissi) in molti la cercano, a molti lei dice no, lavora con Vadim (Il castello in Svezia), Losey (Modesty Blaise) e Buñuel (Il Fantasma delle Libertà), un po’ ha paura dell’aereo (proprio come Assunta Patanè), un po’ ha paura di vivere, e allora decide di ridere, per non morire.
Di Buñuel Monica Vitti racconta: «mi voleva per una piccola parte ne Il fantasma della libertà. La paura del viaggio, come al solito, mi fece dire di no. Ma dopo averla girata con due attrici famose e aver buttato tutto, Don Luis mi ritelefonò dicendo: “Ho bisogno di lei, mi serve il suo modo curioso ed erotico di guardare le cose, di toccarle”. Gli con confessai che era anche merito, o colpa, del mio astigmatismo, ma lui fu così gentile da insistere perché io andassi. Con il cuore in gola lo raggiunsi a Parigi».
«Attrice drammatica, comica, brillante, grottesca, caricaturale: sempre e comunque perfettamente calata nel suo tempo. Questo è il punto», – scrive Cristina Borsatti, punteggiando il racconto della carriera della Vitti con citazioni e conversazioni che le ridanno voce, quella inconfondibile, nel tono, ironico e disilluso, nel suono, roco e quasi afono. Il medico dell’Accademia d’Arte drammatica di Roma le disse che con quella voce non avrebbe potuto fare l’attrice, che non le avrebbe firmato il permesso per frequentare la scuola. Se lei non firma questa carta io mi butto sotto una macchina, lo minaccia lei. Forse era un bluff, nel dubbio il medico firmò il lasciapassare.
E così, dopo il successo con Antonioni e qualche incursione all’estero, arriva per “la Vitti” la consacrazione come attrice comica, la prima in Italia a essere protagonista in un film tutto per sé, non una spalla, non una bruttina di passaggio, non la moglie di, ma una donna al centro della storia, la colonna portante, che fa ridere e non piangere, con Monicelli in La Ragazza con la Pistola.
Ma che fatica trovare dei ruoli adatti, dei ruoli veri. Una donna protagonista? Che guaio!, che le facciamo fare? «“Ma Monica mia, come faccio a scriverti delle storie? Sei una donna, e la donna che fa? Non va in guerra e non ha mestieri; vedi quanti pochi mestieri? Che cosa ti faccio fare? Soltanto una storia d’amore ti posso far fare: che fai dei figli, ti addolori, lui parte, sei disperata”. Ecco – ha affermato l’attrice – questa è l’unica funzione che mi danno. Io ho provato tante volte a dire “ma questo personaggio perché non lo rivoltate completamente, ne viene fuori una donna”, e loro a rispondermi: “Ah no, è impossibile”». Ma i registi la amano, la cercano, scrivono i loro film pensando a lei.
Questa biografia di Monica Vitti ha un pregio raro, l’equilibrio: da una parte la stima e l’amore per la sua eroina, una protagonista incredibile, dall’altra una ricchezza di fonti, documenti e un approccio critico, leggero e pratico, ma sempre puntuale e preciso, non c’è spazio per suggestioni romanzate o “rivelazioni”, è un lavoro di dedizione. Capitolo dopo capitolo, dove vengono passati in rassegna i film con cui l’attrice ha costruito la propria carriera – specchio di un’industria e un’Italia travolta dai cambiamenti che dal dopoguerra l’hanno portata al boom, poi ancora al ‘68 e agli anni di piombo – troviamo anche le interviste e le testimonianze di Monicelli, Scola (Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca)), Risi (Noi Donne Siamo Fatte Così) e Giraldi (La Supertestimone, Gli Ordini Sono Ordini) che raccontano la “loro” Vitti.
Monicelli spiega di come ha scritto La Ragazza con la Pistola pensando proprio a Monica Vitti, conosciuta tramite Antonioni, un’intuizione geniale che l’ha quasi portato al disastro: i produttori si volevano ritirare, un’attrice drammatica in una commedia? Impossibile. Monicelli insiste, deve essere lei. La produzione slitta di un anno, gli vengono proposte altre attrici. Il regista è irremovibile. Il film si fa ed è un successo, aveva ragione lui: la Vitti è una comica perfetta, un’attrice multiforme. Da lì in poi lei diventa la regina della commedia, al cinema drammatico non torna più (salvo rare eccezioni, come la “rimpatriata” con Antonioni per Il mistero di Oberwald).
Il libro è una delizia per i cinefili (ma accessibile anche ai neofiti, che dovrebbero approfittarne) e fa ordine nella carriera disordinata, (purtroppo) non sempre all’altezza di un’attrice incredibile, a completarlo anche una filmografia completa, con i crediti e le sinossi di tutti i film, una teatrografia e una sezione dedicata ai lavori per la TV.
Monica Vitti grazie al cinema ha vissuto e grazie al cinema continua a vivere, vite nuove, vite vive, anche più vere della vita reale, da cui sembra sempre essere scappata, fin dagli incubi che la tormentavano da bambina, in una corsa versa una nuova identità, che meglio la rappresentasse di quella precedente. E allora, è più vera la Vitti che piange o la Vitti che ride? Sono, è questo il suo segreto, la stessa cosa, perché lei è sempre stata solo e nient’altro che lei. «Che bell’idea fare l’attrice – diceva – ti prendi la storia che vuoi, i personaggi che vuoi, qualche volta fai finire la tua storia come vuoi. Ti fai amare, ti puoi far baciare e lasciare, puoi nascere e morire mille volte, ridere e piangere e poi torni a casa. Il guaio è lì. Che devi tornare a casa…».