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L’occhio critico: artisti che si appropriano sia dello spazio fisico che di quello mentale, a Milano

Lamentable n.2, Francois Morellet (2005)

Alla storica Galleria A arte Invernizzi di Milano va in scena la mostra L’occhio critico, a cura di Davide Mogetta (9 marzo-3 maggio 2022). L’esposizione si inserisce nella serie iniziata con L’occhio musicale (2014) e proseguita con L’Occhio Cinematico (2016) e L’Occhio Filosofico (2018).

In questa occasione si rivolge lo sguardo non solo alle opere ma anche a chi vuole mostrarle. L’occhio critico è, ovviamente, quello del critico: quello di chi intende mostrare agli altri le opere, che ne indica la loro presenza e ne approfondisce la lettura. Ma occhio critico deve poter essere, anche, l’occhio di chi osserva le opere d’arte, lasciando da parte preconcetti e certezze.

Gli artisti esposti sono rappresentanti e protagonisti di diverse generazioni dell’arte contemporanea italiana e internazionale a partire dagli anni Cinquanta. La mostra permette di individuare un fil rouge che attraversa il “fare” di ciascuno di essi, sempre però nella loro individualità irriducibile.

Impronte di pennello n. 50 a intervalli di 30 cm, Niele Toroni (2008)

Il percorso espositivo si articola su entrambi i piani della galleria. Nella prima sala del piano superiore sono presenti opere di Carlo Ciussi, Gianni Colombo, Philippe Decrauzat, Bruno Querci, Nelio Sonego e Elisabeth Vary. In modi assai diversi fra loro gli artisti si appropriano sia dello spazio fisico che mentale.

La sala espositiva successiva, in continuità con la precedente, mette in dialogo opere di Gianni Asdrubali, Arcangelo Sassolino e David Tremlett. Seguono nelle sale adiacenti opere più intime di Rodolfo Aricò, Francesco Candeloro, Lesley Foxcroft, Salvatore Scarpitta, Günter Umberg e Grazia Varisco. Si crea così uno spazio di riflessione e avvicinamento.

L’opera di Riccardo De Marchi esposta sulla parete all’ingresso fa da cerniera fra i momenti della visita. Al piano inferiore sono presenti lavori caratterizzati da spinte spaziali, prevalentemente verticali, di Dadamaino, François Morellet, Mario Nigro, Niele Toroni e Michel Verjux, o longitudinali, come nelle opere di Alan Charlton. L’opera di Pino Pinelli sintetizza in un certo modo le due direzioni attraverso una disseminazione ellittica.

Terremoto, Mario Nigro (1980)

La varietà delle opere è caratterizzata però da un forte restringimento cromatico; l’assenza di colori favorisce una visione prolungata e ripetuta. La mostra ha come obiettivo quello di far apprezzare le opere esposte nella loro unicità.  Gli accostamenti presentati creano una continuità fra i diversi lavori, ma allo stesso tempo inducono a mantenere le distanze sia fra le singole opere, per evitare di uniformarle, sia fra esse e lo spettatore, per mantenere lo spazio della sorpresa.

Al termine del percorso lo spettatore è chiamato a interrogare lo sguardo con cui ha attraversato la mostra: un cammino fisico che, simultaneamente, è un itinerario mentale che conduce all’approfondimento del guardare medesimo, a scoprire l’occhio critico in sé stessi.

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