Anaïs Tondeur, Memory of the Ocean, 2014
La Biennale Donna torna per la sua XIX edizione: dal 27 marzo al 29 maggio 2022 il PAC –Padiglione d’Arte Contemporanea di Ferrara ospita la mostra OUT OF TIME. Ripartire dalla natura. La collettiva presenta opere di cinque artiste internazionali: Mónica De Miranda (Portogallo/Angola, 1976), Christina Kubisch (Germania, 1948), Diana Lelonek (Polonia, 1988), Ragna Róbertsdóttir (Islanda, 1945) e Anaïs Tondeur (Francia, 1985). L’esposizione è organizzata da UDI –Unione Donne in Italia e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea del Comune di Ferrara, ed è curata da Silvia Cirelli e Catalina Golban.
OUT OF TIME illustra la necessità di ripensare le strutture radicate, riorganizzare le pratiche consolidate in ambito sociale ed economico e mostrare i legami con il dibattito ecologico in corso. È inevitabile che l’arte affronti attraverso i propri strumenti e linguaggi le questioni ecologiche più pressanti. Le riflessioni che ne derivano da ambiti differenti confluiscono, attraverso una molteplicità di linguaggi artistici (installazioni, fotografie e video) in una mostra che intende esplorare il rapporto tra essere umano e ambiente, ed esaminare le interazioni tra entrambi i soggetti. Un altro obiettivo di questo progetto è porre l’attenzione sulle modalità di appropriazione dell’ambiente come conseguenza drammatica dello sfruttamento delle risorse naturali.
Le cinque artiste indagano l’interazione e la possibile alleanza tra tutti gli esseri viventi ospitati da questo pianeta.
Diana Lelonek, Center for the Living Things, 2016-2022
La mostra si apre con l’opera dell’islandese Ragna Róbertsdóttir, artista il cui lavoro è caratterizzato da una forte cifra minimalista, che proietta la propria grammatica stilistica con l’impiego di componenti dall’evidente potenza materica. Lava, vetro, pomice, ossidiana, rocce vulcaniche, sale, o conchiglie caratterizzano una personale impronta espressiva che sfocia in un legame viscerale con il mondo naturale. Biennale Donna ospiterà anche due lavori site specific: interventi di inconfondibile valenza tattile che rievocano al contempo la magnificenza ela fragilità dell’universo naturale.
Differente è l’approccio della francese Anaïs Tondeur, la cui ricerca si concentra su una pratica artistica di derivazione scientifica, frutto di studi realizzati con la collaborazione di geologi, oceanografi, fisici e antropologi.
La Biennale prosegue poi con il mondo visionario di Mónica De Miranda, portoghese ma di origini angolane, la cui eredità culturale ha fortemente influenzato il suo percorso artistico, portandola all’esplorazione dell’evoluzione ambientale da un punto di vista antropologico. De Miranda si sofferma sulle convergenze fra stratificazione sociale e il cambiamento dell’ecosistema, proponendo “geografie emozionali” –come lei stessa le definisce –cioè narrazioni urbane che seguono intimi processi identitari.
Monica De Miranda, All that burns melts into air, 2020
La prevaricazione dell’uomo sulla natura torna anche nel percorso creativo della polacca Diana Lelonek che, offrendo una visione critica sui processi di sovrapproduzione, focalizza la sua parabola espressiva sulla possibilità di soluzioni alternative di convivenza e coesione fra mondo naturale e mondo umano.
Chiude il percorso espositivo, il lavoro di Christina Kubisch, una delle più incisive figure della sound art tedesca. Attingendo a un’estetica inedita, Kubisch è riuscita nell’intento di proiettare “paesaggi acustici” attraverso l’esplorazione del potere del suono. Le sue polifoniche installazioni sonore indagano il cosiddetto inquinamento acustico silenzioso, esperienza sensoriale fondamentale per poter comprendere lo stato di saturazione elettromagnetica diffusa intorno a noi.