Esperienza estetica e dilatazione del tempo nell’opera di Bill Viola. 15 opere emblematiche del maestro della Video Art esplorano i temi più cari all’artista statunitense. Fino al 26 giugno a Roma, nei saloni di Palazzo Bonaparte, è visibile la mostra a lui dedicata: Icons of light.
Torna a Roma dopo 14 anni la superstar della video arte Bill Viola con un percorso che condensa in 15 opere la sintesi del suo lavoro dagli anni ’70 in poi. Nei saloni di Palazzo Bonaparte – affacciato su Piazza Venezia, dimora un tempo della madre di Napoleone – le evocative e teatrali installazioni di Viola si concentrano su temi esistenziali fondanti. La nascita, la vita, la morte, la resurrezione, il corpo, i quattro elementi (aria, acqua, fuoco, terra). Questi, uniti all’intensità dell’immagine visiva e delle sofisticate tecnologie, permettono di esplorare in ogni dettaglio le corrispondenze e i rimandi che caratterizzano la poetica dell’artista.
La mia arte non è realmente cinema, non è pittura. Non è realismo sebbene si avverta spesso come qualcosa di realista, e non è una creazione poiché tutte le immagini derivano dalla vita reale. Penso si tratti piuttosto di un’espansione dei livelli di realtà.
Viola mette in scena nelle sue immagini, rendendola visibile, una dimensione mentale ed emotiva trasformativa in cui il Tempo diviene il primo veicolo per cogliere emozioni e sensibilità dimenticate. Sull’impatto trasformativo dell’opera d’arte ha avuto parole illuminanti il filosofo tedesco H.G. Gadamer. In Verità e metodo riflette a lungo sul carattere intersoggettivo, dialogico e processuale dell’esperienza estetica. Considera l’opera d’arte non come l’oggetto che si contrappone al soggetto, ma come un’esperienza conoscitiva di verità sia per l’autore che per il fruitore.
Per Bill Viola l’opera, nella sua essenza, è un progetto che, tramite il dispositivo tecnologico, permette all’osservatore di vivere la sua particolare esperienza, dialogando con sé stesso e con l’autore nello spazio comune del progetto artistico e in una modalità in cui il piacere estetico sta nell’abbandonarsi al proprio flusso emotivo. In questo senso il lavoro dell’artista statunitense permette ad ognuno di noi di avvicinarsi ai suoi processi psichici inseriti in modo implicito nell’opera affinché possa divenire qualcosa di condiviso. Da qui nasce l’empatia che permette ai processi psichici dell’artista di confondersi con l’esperienza personale del fruitore.
Solo grazie a questa empatica immersione l’opera può divenire davvero trasformativa attraverso “un’espansione dei livelli di realtà”, per usare le parole di Viola, capace di portare al cambiamento. L’artista del resto ha sempre cercato di costruire, con stile poetico, ponti fra diverse culture. La sua è “una voce che manifesta il suo pensiero, ricostruisce il processo di lavoro, dichiara le fonti di ispirazione, le motivazioni. É un teorico dal pensiero complesso, al pari di alcuni artisti nel contesto delle avanguardie storiche come Ejzenstein, Klee, Mondrian, Moholy Nagy, i quali hanno accompagnato la pratica artistica con riflessioni teoriche che ne proseguivano ed estendevano la portata” (Valentini).
Le opere di Viola si risolvono quasi sempre in una sfida potente per l’osservatore, con le sue sequenze dilatate fino ai limiti dell’umana sopportazione, le attese snervanti e perfino angosciose che le sue installazioni sono in grado di suscitare. L’uso particolare del “rallentatore”, slow-motion o supermotion, è un effetto cinematografico in cui un movimento è riprodotto a una velocità più lenta del reale. Questa tecnica cinematografica fu inventata da Padre August Musger nel 1904. Prende nome dal dispositivo montato sulla macchina da presa per accelerare sensibilmente il movimento della pellicola. Dilatare il tempo, rallentarlo per renderlo persistente, pensarlo in termini di durata.
Come nello spettacolare The Greeting 1995, dove diviene un modo per attivare e riacquisire, con l’aiuto delle emozioni, il pensiero. Scriveva l’artista nel 1984 “Il problema centrale di oggi è come conservare la sensibilità e la profondità di pensiero (entrambi funzioni del tempo) nel contesto delle nostre vite accelerate”. E aggiungeva nel 1990: “La durata è il mezzo che rende possibile il pensiero; dunque, la durata è per la coscienza ciò che la luce è per gli occhi. Il tempo stesso è divenuto la materia prima dell’arte dell’immagine in movimento“.
Nel sopracitato The Greeting, ispirato alla Visitazione del Pontormo, un evento che si svolge in 45 secondi è esteso a oltre 10 minuti. Perché “Il tempo– scrive Kira Perov – è malleabile nelle mani di Bill Viola, dove ogni dettaglio del movimento e dell’espressione del viso e del corpo è visibile, dove un momento diventa eternità”. Da qui in poi il lavoro dell’artista sarà sempre più identificato da questo stile. Il tempo dell’esperienza estetica di chi osserva il video si configura come un’isola del tempo, capace di ipotizzare un risveglio della coscienza, quasi a percepirne il flusso interno. Un tempo mentale, soggettivo, kairos e non kronos dunque, vissuto attraverso la propria esperienza personale, un tempo in cui si possa verificare un cambiamento. Lo spazio della mostra si configura pertanto al di fuori del flusso del tempo, quando si uscirà dal Palazzo la vita normale ed accelerata ci sommergerà con i suoi ritmi e il suo rumore.
Acqua, aria, fuoco, la vita, la morte, rapporto uomo-natura, la memoria del passato che si incontra con un presente sperimentale, ambedue in eterno movimento. L’acqua è un elemento ricorrente nel lavoro di Viola. A sei anni, racconta, ha rischiato di annegare. Non è un caso se ha sviluppato la sua carriera in una costante ricerca incentrata sul limite tra la vita e la morte. The Reflecting Pool (1977) che apre la retrospettiva romana, si colloca fra le prime opere in cui l’artista affronta problemi di natura ontologica. Teorizzata attorno al concetto di battesimo, simbolo di iniziazione, di purificazione, il corpo dell’artista viene indagato come essenza transitoria, mutevole, a bordo di una piscina vista come limen da superare, opera aperta con lo scopo di creare una dialettica fra un al di qua e un al di là.
Fra le opere in mostra Ascension (2000) riprende in slow motion l’immersione di un uomo vestito in un mare blu notte, un luogo sospeso tra la morte e la vita “quasi a sperimentare la natura ciclica della nostra esistenza”. Il suo precipitare nell’acqua implica, forse, un’ascensione, una resurrezione che lo possa ricondurre a una condizione pacificata. Observance (2002) è uno studio sulla perdita e sul dolore nelle sue molteplici espressioni personali, l’opera fa parte della serie Passions. Anche Three Women (2008) riprende il tema dell’acqua vista come liquido amniotico, linea di confine tra la vita e la morte, tra il visibile e l’invisibile. Questa affascinante, ipnotica passeggiata spirituale, catartica prosegue con la serie dei Water Portraits e dei Martirs (2014) in cui gli elementi, acqua, aria, fuoco, tornano prepotentemente alla ribalta. La retrospettiva, firmata da Arthemisia, è a cura di Kira Kerov.