Il ministro ritiene fondamentale sostenere l’arte contemporanea italiana e promuoverla a livello internazionale. Ma cosa ha fatto per questo?
“Inspiegabilmente negli ultimi 70 anni abbiamo investito molto poco nei talenti dell’arte contemporanea, nonostante l’Italia abbia straordinari e formidabili maestri. Questo è stato un gravissimo errore perché la creatività italiana non è solo nel passato“. Parole sacrosante, che chiunque abbia a cuore le sorti dl sistema creativo attuale in Italia potrebbe sottoscrivere. Ma ora colpisce che a pronunciarle sia qualcuno che l’ultima fetta di questi 70 anni l’ha trascorsa al vertice del settore. Ovvero il ministro della Cultura, Dario Franceschini, che ha proposto queste considerazioni nel corso della presentazione del rapporto “Quanto è (ri)conosciuta all’estero l’arte contemporanea italiana?“. Uno studio realizzato da un team indipendente di esperti, con il contributo di Arte Generali.
“Si tratta ora di fare un investimento strutturale e il rapporto presentato oggi è importante perché offre una fotografia dei dati della produzione artistica contemporanea del nostro Paese”, ha aggiunto il ministro. “Uno strumento utile per monitorare, comprendere e approfondire i mutamenti di questo settore. È fondamentale sostenere l’arte contemporanea italiana e promuoverla a livello internazionale, soprattutto dopo le difficoltà causate a questo settore dalla pandemia”. Ed è proprio su questo punto che ci viene da riflettere: ma Franceschini è consapevole di quanto lui stesso (non) ha fatto per l’arte contemporanea nella contingenza della pandemia? Di come un’intera filiera, fatta da artisti ma anche di gallerie, curatori, uffici stampa, editori specializzati, sia stata completamente lasciata allo sbando? Senza provvedimenti ad hoc, emanati però per altri settori come il cinema, i circhi e lo spettacolo viaggiante?