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Manon Lescaut di Giacomo Puccini al Carlo Felice di Genova

La recensione della prima di Manon Lescaut di Giacomo Puccini al Carlo Felice di Genova, che ha visto il tenore Marcelo Álvarez abbandonare l’opera poco dopo l’inizio

I capricci delle prime donne e gli atteggiamenti di divismo di tenori e castrati ci riportano al teatro del ’700 e ’800, quando la gestione dello spettacolo rimaneva soprattutto nelle mani dei cantanti. Contro di essi si rivolsero principalmente le satire degli intellettuali dell’epoca, ma poi via via questi comportamenti da parte degli artisti sono andati scemando. Per questo venerdì 25 marzo, quando la prima della Manon Lescaut di Giacomo Puccini al Carlo Felice di Genova è stata interrotta per il forfait del tenore Marcelo Álvarez, si è rimasti un po’ interdetti.

Il noto tenore nel ruolo del protagonista Renato Des Grieux, dopo dieci minuti dall’inizio dello spettacolo, si è lamentato platealmente per il fumo eccessivo presente sul palcoscenico. “Non posso cantare così, sorry!” ha urlato abbandonando infuriato il palco fra lo stupore dei colleghi in scena e ancor più dei presenti in sala. Nonostante gli applausi del pubblico, che forse erano d’accordo con il tenore sull’azzardata scelta di far entrare una locomotiva fumante in palcoscenico, Álvarez ha continuato a inveire contro la regia dello spettacolo, affidata a Davide Livermore. Si è dovuta attendere più di mezz’ora affinché lo spettacolo potesse riprendere grazie al sì di Riccardo Massi nel sostituire Alvarez nel ruolo del protagonista. Dopo il cambio l’opera ha ripreso regolarmente e tutto è andato avanti nel migliore dei modi. In realtà il tenore aveva già mostrato qualche incertezza, chiudendo l’arietta iniziale con una certa difficoltà.

Un comportamento poco riguardevole verso il teatro tanto è vero che l’ufficio stampa del teatro genovese ha emesso in tempo reale un comunicato che smentiva la versione di Álvarez, con una nota del Sovrintendente Claudio Orazi: “Diversamente da quanto sostenuto nel take Ansa ripreso da alcune testate, la evidente défaillance del tenore Marcelo Álvarez durante la prima di Manon Lescaut per la regia di Davide Livermore è intervenuta all’inizio dello spettacolo ben prima dei limitati effetti scenici, realizzati sul fondo della scena, in occasione dell’ingresso di una locomotiva. Peraltro i medesimi effetti erano stati ampiamente provati durante tutte le fasi della produzione. Stupisce il comportamento di un tenore di esperienza internazionale il quale avrebbe potuto semplicemente, e in modo comprensibile per la direzione del Teatro e per tutto il pubblico, dichiarare con sincerità di non sentirsi bene e congedarsi con dignità dalla scena”.

© Laura Ferrari

La recensione

In ogni caso non amando il gossip, ci togliamo subito questa incombenza, ormai riportata da tutte le testate giornalistiche, per inoltrarci invece a parlare di uno spettacolo che senza dubbio ha soddisfatto appieno il pubblico, compresa la sostituzione con Riccardo Massi, del secondo cast, che non ha fatto per nulla rimpiangere un Álvarez sotto tono.

La produzione della Manon pucciniana, su libretto di Domenico Oliva e Luigi Illica, è dedicata alla memoria del grande soprano pesarese Renata Tebaldi, in occasione del centenario della sua nascita. La sua interpretazione di questa Manon nel lontano 1961 al Teatro Margherita di Genova entrò nella leggenda. Puccini la presentò al Teatro Regio di Torino il 1 febbraio 1893, otto giorni prima del debutto di Falstaff alla Scala, ed è proprio con essa che raggiunse il suo primo successo. La scelta del tema era un rischio, dato che il fortunato romanzo dell’abate Prévost era già stato trasformato in opera da Massenet, con successo, nove anni prima, ma il trentacinquenne Puccini, già pienamente consapevole del suo talento, non temeva il confronto. Ed infatti anche la sua Manon fu un trionfo: “Puccini mi sembra che, più di qualsiasi altro suo rivale, sia il più probabile erede di Verdi” scrisse George Bernard Shaw, quando l’anno dopo la prima di Torino l’opera giunse al Covent Garden di Londra.

Ieri sera, sotto la direzione del Maestro Donato Renzetti, le note di Puccini hanno risuonato al meglio. L’orchestra genovese ha consegnato quegli ottimi risultati che si ottengono sempre quando sul podio c’è un grande direttore. L’orchestrazione di Puccini, richiede sempre una perfezione e una profonda attenzione ai minimi dettagli, che sotto la bacchetta di Renzetti sono emersi al meglio. L’orchestra genovese seguendo le indicazioni puntuali del maestro è stata tanto tonante quando impercettibile come richiesto dalla partitura sublime del compositore di Lucca.

Brava Maria Josè Siri nel ruolo di Manon Lescaut. Ottima la dizione, perfetta la sua voce morbida, calda e dolcemente dorata come il miele. Prima soprano leggero, poi lirico pieno con quegli accenti drammatici che la pongono fra i più apprezzati della scena internazionale per i ruoli da Mozart a Puccini.

Riccardo Massi, dal 2000 al 2007 controfigura e stuntman, arrivato grazie a quanto guadagnato con questo mestiere a pagarsi gli studi di canto, è stato perfetto nella parte di Des Grieux dovuta intraprendere al volo, magnifico nei duetti con la Siri. In più ha giocato a suo favore il physique du rôle con cui è stato facile cattivarsi il pubblico deluso dal comportamento di Álvarez.

Il coro, nonostante le  mascherine anticovid sulla bocca ha dato come sempre una prova eccezionale. Bravissimi i mimi danzatori coordinati da Alessandra Premoli, e coinvolgente Roberto Alinghieri, attore ed autore che si è formato al Teatro Stabile di Genova, che nel ruolo di Des Grieux anziano seguiva con elegante partecipazione il giovane sè stesso come un ombra (ottima trovata registica).

Monumentali le scene di Livermore, che indubbiamente valorizzano le potenzialità del palcoscenico del Carlo Felice, ma come al solito sconcertano un po’. Perchè trasportare un’opera ambientata nel settecento francese nel primo Novecento della  immigrazione verso le Americhe? Solita operazione politico sociale?… Il fatto è che non aveva molto senso vedere morire Manon in una stazione mentre parlava di deserto, quello delle colonie francesi. Livermore aveva spiegato la scelta rifacendosi ad un’altra scelta, quella di Puccini, che decise di ambientare la storia di Manon nel 1893, a pochi giorni dall’apertura della struttura di accoglienza per gli immigranti dello stato di New York, quindi non nell’ambientazione settecentesca originaria. In ogni caso, dai tanti applausi che lo spettacolo ha ricevuto alla fine, possiamo affermare che il pubblico ha apprezzato, e apprezzato tutto.
In scena fino a domenica 3 aprile 2022.

teatrocarlofelice.com

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