Michele Guido, classe 1976, è un artista salentino di nascita e milanese di adozione. A partire dallo studio delle forme e dei processi naturali, Guido crea installazioni, sculture e fotografie che incorporano il rigore della geometria e la complessità che caratterizzano l’ecosistema globale.
A volte è bene comprendere nel nostro sguardo sia il micro che il macro, ciò che è vicino e ciò che è lontano (nello spazio così come nel tempo): potremmo stupirci nello scoprire che ci sono affinità o addirittura identità tra elementi che credevamo più che mai distanti. Come un tempio e una ghianda, o un uomo e un insetto, per esempio. Il lavoro di Michele Guido ci insegna a osservare per osservarci, formalizzando i legami tanto profondi quanto sottili che sussistono fra la vita naturale e la sua elaborazione antropica.
Michele Guido, classe 1976, è un artista salentino di nascita e milanese di adozione. A partire dallo studio delle forme e dei processi naturali, Guido crea installazioni, sculture e fotografie che incorporano il rigore della geometria e la complessità che caratterizzano l’ecosistema globale. Il mondo vegetale, in particolare, risulta essere una fonte di ispirazione estremamente rigogliosa per l’artista, affascinato dalla sua regolarità e modularità (ben visibili nelle sezioni delle piante, spesso utilizzate all’interno delle opere). Muovendo dall’analisi di alcuni lavori presentati durante l’ultima personale di Guido – Giardino in quattro atti (2001/2021), Casa degli Artisti, Milano, marzo 2022 – è possibile esplorare le diverse forme della sua ricerca, che spazia dall’installazione alla fotografia, passando per la scultura.
L’attenzione di Guido per le leggi geometriche lo accompagna anche nello studio della storia dell’arte, e – soprattutto – del Rinascimento. Le indagini prospettiche di Leon Battista Alberti (De pictura, 1435) e i trattati sui rapporti formali di Luca Pacioli (De Divina Proportione, 1509), così come i dipinti di Piero della Francesca e Leonardo da Vinci, diventano per l’artista la materia prima per una riflessione sulle reciproche identità fra natura e architettura: nascono così opere come Lotus Garden project #05 _Raphael Urbinas 1504_2011, una scultura composita in cui le nervature di una foglia di loto dialogano con l’architettura del tempio sullo sfondo de Lo Sposalizio della Vergine di Raffaello (a sua volta citazione del tempietto di San Pietro in Montorio di Bramante).
Fra le opere più note di Raffaello, lo Sposalizio è un perfetto esempio del tema pittorico della Città Ideale, particolarmente apprezzato durante il XV secolo. Nell’ottica rinascimentale, la città ideale doveva fondarsi su precisi rapporti architettonici, con ampie piazze e rigorosi edifici, il tutto dominato dalla luce e dalle forme geometriche essenziali (riprese dall’architettura classica in contrapposizione all’irregolarità gotica). Il modello urbanistico, dunque, si concilia con la sua rappresentazione, regolata dalla prospettiva. Elemento caratterizzante, e notato da Michele Guido, è l’assenza di elementi vegetali: la natura, nello Sposalizio, appare al di là della piazza e del tempio, come sintomo di una raggiunta disgiunzione fra spazio antropico e spazio naturale, una ferita non ancora sanata. Guido non intende muovere una critica ai canoni rinascimentali, non ce n’è bisogno: propone piuttosto una sintesi che possa risolverne le incomprensioni, dimostrando le possibilità di convivenza anche fra ciò che apparentemente è opposto.
In altre opere, a dialogare con l’architettura minerale antropica è un singolare fenomeno naturale, la conseguenza di una relazione interspecifica: quando particolari insetti, funghi o batteri sono coinvolti in processi di parassitosi ai danni di un organismo vegetale, tendono a formarsi escrescenze dovute all’attivazione, da parte del parassita, di una proliferazione delle cellule della pianta stessa. In botanica, tali malformazioni vengono definite “galle”. Il processo di formazione della galla, osservato dalla prospettiva dell’insetto che lo innesca, è una vera e propria costruzione progressiva: un tempio naturale e privo di ordini architettonici, spontaneo ma dalla conformazione (e deformazione) intensamente controllata. La giustapposizione di biologico e artificiale si completa nel contrasto temporale fra le due architetture: se la galla è destinata, in quanto frutto dell’incontro tra due organismi vivi e mortali, a degradarsi nel tempo, il tempio è potenzialmente imperituro.
Eternità e caducità, però, sono solamente concetti relativi. Era il 1772 quando Antoine Lavoisier, considerato il padre della chimica moderna, formulò la legge di conservazione della massa, secondo cui “nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma”. In natura, morte e vita sono concetti inscindibili: tutto ciò che perisce diventa un’opportunità di sopravvivenza per le altre specie, e viceversa. Per questo ciò che è naturale e soprattutto biodegradabile contribuisce, tramite il proprio decadimento, a un ciclo eterno di trasformazione e autoalimentazione.
È il caso, per esempio, della vinaccia (lo scarto della vendemmia) proveniente dalla vigna di suo padre: essa può essere riutilizzata per fertilizzare il terreno in cui cresce la vite, divenendo da scoria nutrimento. Nel lavoro di Guido, la vinaccia si trova a dialogare con la perfezione geometrica della conchiglia di una Stellaria Solaris, la cui spirale diventa simbolo di rinnovamento ed eminente esempio in natura della sezione aurea – quella che Platone definì “la chiave della fisica del Cosmo”. Seguendo la scia del pensatore greco, Michele Guido sembra ricordarci che il segreto della complessità dell’universo si può trovare persino nelle piccole cose – una conchiglia, per esempio.
Come un filo rosso per tutto il lavoro di Michele Guido, vi è il tema del giardino, incontro supremo fra la razionalità della natura e quella dell’uomo. “Essendo figlio di un agricoltore, il giardino mi appartiene sin dall’infanzia”, mi confida Guido nel corso di una breve ma intensa chiacchierata (in cui ho modo di apprezzare la sua esemplare umiltà). L’incontro con l’artista giapponese Hidetoshi Nagasawa e il conseguente lavoro al suo fianco gli permettono di esplorare ulteriormente il giardino come opera d’arte. Concetto che Guido, come mi anticipa egli stesso, sta cercando di implementare a un livello superiore nella sua pratica: non serve riempire i musei – già stracolmi – con altre opere, perché (parafrasando un pensiero di Stefano Mancuso riguardo all’inutilità delle grandi opere dell’intelletto umano per la salvezza dell’ecosistema) “alla Terra non frega niente della Cappella Sistina”; l’opera d’arte si fa concreto giardino, con piante e fiori reali, contribuendo non solo a una finalità estetica, ma – soprattutto – alla creazione del paesaggio. Solo incoraggiando la crescita degli alberi possiamo tentare di redimere quell’irresponsabile cortocircuito che è il predominio umano sull’ambiente. In una biodiversità che, per l’artista, significa innanzitutto resilienza, moltitudine e coesistenza non c’è spazio per nessuno specismo, soprattutto se alimentato dalla ricerca di profitto. È questo il primo passo per superare il principale limite umano alla comprensione della natura.
Questo contenuto è stato realizzato da Alberto Villa per Forme Uniche.
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