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1 maggio: ‘Il Quarto Stato’ di Pellizza da Volpedo a Firenze… perché?

Museo del Novecento Milano

Museo del Novecento Milano

In questi ultimi giorni Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza Da Volpedo, monumentale dipinto e capolavoro dell’arte a cavallo tra Ottocento e Novecento, ha lasciato la sua teca presso il Museo del Novecento di Milano alla volta di Firenze, più precisamente il Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio

Visto il tema del dipinto, ovvero l’incessante cammino dei lavoratori verso un’epoca di uguaglianza e di consapevolezza sociale – parafrasando i pensieri dello stesso Pellizza – un’operazione del genere in occasione dei festeggiamenti per il Primo Maggio potrebbe addirittura sembrare interessante, coerente. La domanda da porsi però è, perché proprio Firenze? Anzi, che c’entra Firenze? Proviamo a trovarne le ragioni.

Sul sito del Comune della Città, si legge: “In occasione della Festa Internazionale dei Lavoratori, il Comune di Firenze – Museo del Novecento grazie alla collaborazione con il Comune di Milano, presenta nel cuore di Palazzo Vecchio, […] Il Quarto Stato, (1898-1902), una delle più celebri opere pittoriche realizzate tra Otto e Novecento, eccezionalmente concessa in prestito dal Museo del Novecento di Milano”.

Fin qui sembrerebbe tutto regolare, ma ancora manca la risposta alla nostra domanda. Andiamo avanti: “La presentazione della grande tela nella sede del governo della città, a cura di Danka Giacon e Sergio Risaliti, costituisce un’occasione unica per ammirare nel capoluogo toscano il capolavoro di Pellizza Da Volpedo, che irrompe con il suo profondo significato politico e sociale all’interno dello scenario rinascimentale che adorna il monumentale Salone dei Cinquecento”. Ancora niente? Forse poco più avanti: “La presenza dell’opera a Firenze fino al 30 giugno trova una sua giustificazione storico-artistica proprio nelle vicende biografiche dell’artista che qui soggiornò frequentando l’Accademia di Belle Arti, sotto l’insegnamento di Giovanni Fattori, entrando in contatto con i capolavori del passato e studiando le tecniche artistiche moderne”. 

Non me ne vogliano né Giacon né Risaliti, della e del quale apprezzo il lavoro curatoriale e culturale rispettivamente a Milano e Firenze, ma se questa sembra una ragione valida per trasferire a Firenze per due mesi un’opera monumentale (sia per dimensioni che significato) che si è spostata pochissime volte da Milano, allora forse siamo giunti alla definitiva mercificazione e feticizzazione di un capolavoro.

Già Pellizza nei primi anni del Novecento storceva il naso di fronte alla riproduzione della sua creatura su giornali socialisti, come se il suo capolavoro perdesse valore ad ogni stampa, in una progressiva “Benjaminiana” perdita della propria aura, fino ad oggi. Il Quarto Stato, pensato dal suo ideatore come manifesto sociale (e socialista) per parlare, celebrare e redimere i lavoratori fornendo di essi quella che un teorico del tempo definiva la profonda “immagine abbellita di questi”, diventa così l’ennesima occasione pubblicitaria di Firenze, città che con risultati a volte incredibili (grazie Risaliti!) a volte discutibili, ha avvicinato l’arte moderna e contemporanea alla cornice rinascimentale del centro storico.

Anche l’Associazione Mi Riconosci, sempre sul piede di guerra a favore dei lavoratori del settore dei Beni Culturali, si è espressa nei confronti dell’iniziativa, bollandola come “l’ennesima, rischiosa e inutile trovata pubblicitaria”. Al di là dei toni di Mi Riconosci, l’operazione infatti non sembra essere supportata da un progetto espositivo di spessore o da un convegno sull’arte e il lavoro. Il sito parla di “un progetto speciale in collaborazione con la Fondazione Alinari che avrà al centro il mondo del lavoro dall’Ottocento in poi”, il tutto molto vago. Ciò però non spiega ancora la scelta del Quarto Stato. Al di là dell’iconicità del dipinto di Pellizza, vi sono tantissimi altri dipinti italiani dello stesso periodo che si sono occupati del tema del lavoro, e che potevano essere scelti, magari in gruppo.

Certo, sono più piccoli, meno rifiniti, ma che, se messi insieme in un contesto espositivo coerente, avrebbero potuto offrire una nuova riflessione sul tema del lavoro alla fine dell’Ottocento e così proiettarlo all’Oggi, con i nostri problemi di disoccupazione, chiusure e trasferimenti di aziende in Paesi dalla manodopera meno costosa, ai giovani lasciati a se stessi in un mercato del lavoro come quello italiano ormai fossilizzato, con la ciliegina del post(?)-Covid e dei rincari stellari per via del conflitto in Ucraina.

Tutto questo sembra non esserci: quella di portare Il Quarto Stato a Firenze nella cornice rinascimentale del Salone dei Cinquecento non è un’azione culturale, profonda, ma sembra più un’ostensione, come ha definito l’iniziativa Federico Giannini su “Finestre sull’Arte”. Un’ostensione di un’icona totalmente decontestualizzata. L’unica nota positiva è che almeno Il Quarto Stato lascerà per due mesi quella infelice teca che lo ospita al Museo del Novecento. Perché però non esporlo a Torino o Genova, per vicinanza geografica a Volpedo, paese natale dell’artista? O addirittura Roma o il Vaticano per la somiglianza tra i lavoratori di Pellizza e i filosofi della Scuola di Atene di Raffaello?

Nel Salone dei Cinquecento, l’affresco del Vasari recita “cerca trova”. Ecco, una ragione per avere il Quarto Stato a Firenze ancora non si trova.

Ah, e affrettatevi, il Primo Maggio l’ingresso è gratuito!

 

Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza Da Volpedo a Firenze
Salone dei Cinquecento, Palazzo Vecchio, Firenze
Orari mostra a Palazzo Vecchio:
Lunedì – Domenica 9 -19, Giovedì 9-14, bigliettazione ordinaria del museo.

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