Songs from the Cave è il titolo della mostra che, per la prima volta, Galleria Poggiali dedica a Benedikt Hipp. Corpi umani si uniscono a forme di fantasia per raccontare il difficile rapporto tra individualità e società. A Milano dal 5 maggio al 4 giugno 2022.
Non sappiamo esattamente quanti fossero, ma ne immaginiamo tantissimi. A ricoprire la casa, la chiesa e tutti i luoghi pubblici della città. Perché il paesino nel sud della Baviera dove è nato Benedikt Hipp è famoso per i suoi antichi artigiani locali, produttori di ex voto. Un’espressione tipica dell’arte popolare, che si concretizza in oggetti da tributare a una divinità. Per ottenerne i favori, per certificarne la devozione.
Fin da bambino Hipp è stato circondato da queste piccole opere, che per lui erano un gioco. Immagini eterogenee, miscellanee di parti del corpo umano, di animali, case e simboli religiosi. Un accavallarsi di forme che rendeva impossibile discernere dove iniziava l’una e finiva l’altra. Delle domande iniziano così a ruotare nella mente dell’artista:
Dov’è il confine tra un essere e l’altro? Dove finisce l’individuo e dove inizia la società?
Hipp sembra chiederselo in ogni opera che realizza, dove corpi di ogni natura – umani o animali, organici o inorganici – si arrotolano fino a confondersi. La natura antropica è un limite scomodo all’immaginazione, che esige sondare le infinite possibilità che la decostruzione e ricostruzione del mondo offre. Per questo l’artista dà vita – o quantomeno immagine – a corpi metamorfici, post-umani, risultati di incroci possibili e impossibili.
Ne abbiamo un compendio nella mostra che Galleria Poggiali gli dedica a Milano. Ambienti immaginifici fanno da sfondo ad assemblaggi dal sapore surrealista, se non dadaista nel richiamo compositivo del collage. I meccanismi rimangono evidenti, conservano la loro origine. Questo aumenta il senso di assemblaggio, di incastro forzato, artificiale. Alcune tele rimandano a Philip Guston, per le forme dai confini approssimati e la sensazione di giocosa inquietudine che trasmettono. Quasi impossibili da riconoscere a un primo sguardo, le figure invitano l’osservatore a immergersi in esse pur di comprenderle.
In termini contenutistici l’opera di Hipp assume i tratti della ricerca antropologica, in una prospettiva che unisce ricordi personali ad archetipi sociali del nostro tempo. Al centro il concetto di individualità, sempre più stressato in una contemporaneità che progressivamente si fa contratta, respingente, impermeabile a una visione olistica dell’esistenza. Connettendo simboli legati alla cultura, al mito, alla religione, alla spiritualità, alla critica della civilizzazione, alla subcultura, ai rituali, ai fumetti e ai culti Hipp evoca i presupposti per una nuova convergenza.
Eppure le sue figure non hanno volto, oppure è coperto da maschere o pattern che ne alterano la veridicità e ne esaltano l’assurdità. Identità, individualità e incompatibilità con la società emergono così come spinte fondanti di esseri che si ancorano alla realtà solo per negarla, che si distanziano da essa per cercare qualcosa. Ma cosa?
Forse di un’esistenza incontrollata, non codificata, libera di evolversi secondo natura. Pensiero che si condensa nel nuovo ciclo di opere che l’artista presenta in mostra, a cui danno anche il titolo, Songs from the Cave. Si tratta delle sculture in argilla che accompagnano le tele nell’esposizione. La loro genesi è da rintracciarsi nelle rovine della prima cultura neolitica di Maiorca, che Hipp ha visitato nel 2017.
Impressionato dagli enormi blocchi di pietra e dall’iconografia arcaica di uno spazio sacro per eccellenza, la grotta, l’artista ha deciso di porsi in contatto con le forze naturali plasmando ad alta temperature il materiale. Con una tecnica di origine giapponese, il cui fascino risiede nell’impossibilità di controllare ogni fase del processo. Parte di esso viene affidato al caso, alla natura, al destino, al fato. Comunque lo si voglia chiamare, è tale elemento imprevedibile a formare l’opera. Forze misteriosi e imponderabili, che ci riportano in un’orbita dove la tecnologia non è arrivata e le possibilità di esistenza risiedono nelle mani dell’ignoto.