Sabato 21 maggio inaugura un nuovo spazio dedicato all’arte con la collettiva “… bisogna continuare”
La location è una ex tabaccheria nel centro di Asso, in provincia di Como. Questo spazio, adatto a progetti complessi e senza caratteristiche commerciali, è stato ideato dall’artista Pietro Finelli come un luogo di produzione, laboratorio e archivio, che collega una linea immaginaria che ha i più illustri precedenti nell’elenco del Campo Marzio di Giovanbattista Piranesi – la costruzione di un’utopia della forma dissolta (Tafuri) – fino al Musée d’Art Moderne – Département des Aigles di Marcel Broodthaers.
Il titolo della mostra è “… bisogna continuare”e propone i lavori di Mauro Barbieri, Francesco Correggia, Luca Coser, Michelangelo Jr Gandini, Ernesto Jannini, Federico Garibaldi, Alberto Finelli, Pietro Finelli, Paolo Manazza, Simonetta Moro, Aga Ousseinov e Marco Pellizzola.
Con le parole di Pietro Finelli raccontiamo il progetto: “È alla fine dell’incubo beckettiano chiamato L’Innominabile che emergono, come da un abisso senza fondo, queste parole:” …bisogna continuare, non posso continuare, bisogna continuare.” L’io proteiforme sulla pagina deborda – Basile, Mahood, Worm – dice sentenze (ça nous rappelle Mea Culpa di Céline). Un io che non esprime (non è espressione di), dice ciò che diviene in noi la catarsi di quest’io plurale, sarà anche al centro dei Tre Dialoghi sulla pittura di Beckett, contro ogni teorizzazione dell’arte intesa come espressione. Nel 1949 sulla rivista Transition Beckett fece alcune considerazioni sul pittore francese Pierre Tal-Coat, esprimendo molte riserve circa il suo stile. Incalzato da Duthuit, che chiedeva quale tipo di arte lo scrittore avesse allora in mente, Beckett rispose: «Io parlo di un’arte che si allontana dall’ordine del fattibile, con disgusto, stanca delle sue meschine prodezze, stanca di fingere di essere abile, stanca di essere abile, di fare un po’ meglio la stessa cosa, di andare un po’ oltre su una via desolata». Duthuit chiese quindi quale possibilità restasse all’artista. E Beckett rispose: «L’espressione che non c’è nulla da esprimere, nulla con cui esprimere, nulla da cui esprimere, nessun potere di esprimere, nessun desiderio di esprimere, insieme con l’obbligo di esprimere». In questo caos di identità, dove disperiamo e agiamo di volta in volta, tra la tradizione e il non senso della vita, tra la gioia e i desideri (spesso irrealizzabili), tra il vuoto immanente e la pienezza di tutto quello che pensiamo di avere (e non abbiamo), riponiamo le armi (parola abusata) e opponiamo r-esistenze. Lasciamo che l’Arte sia prodiga e ci disponiamo alla sua accoglienza. O ci immergiamo nel liquido amniotico che ha tessuto Beckett nel suo Innommable, come già il Finnegans Wake joyciano o quello proustiano della Recherche, avevano donato alla nostra esistenza. Terminando, come Beckett “bisogna continuare, e io continuerò.” In maniera incessante e infinita”.
*Le citazioni da L’Innominabile sono state prese dall’edizione Einaudi, 2018, tradotta da Aldo Tagliaferri
Inaugurazione sabato 21 maggio 2022 h.17:00
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