La Galleria Christian Stein presenta la mostra Mario Merz, nella sede di Corso Monforte 23, Milano, dal 19 maggio al 16 settembre 2022. L’evento rende omaggio all’artista scomparso nel 2003 ricordando lo stretto legame con la galleria avviato già nel 1967, e proseguito nel tempo con ben 12 mostre personali.
Gli spazi della galleria ripropongono la mostra realizzata da Mario Merz nel 1999. L’allestimento è rispettato nella sua forma originale e ancora oggi torna, con grande attualità, a interrogare lo spettatore sul fragile rapporto tra natura e cultura, tra esistenza e cosmo.
Per Merz, la natura è qualcosa che anticipa la cultura, è un organismo vivente che attornia l’uomo e si rivela ad esso attraverso la geometria organica delle forme e leggi matematiche sottese, come la sezione aurea e la serie di Fibonacci. La cultura invece è generata dall’incontro tra linguaggio e storia, tra l’agire e l’intuire, una dialettica gnoseologica che sempre accompagna l’uomo sulla terra e nei confronti con la realtà, tra esperienza e trascendenza, tra arte e vita, tra urgenze materiali e spirituali.
La mostra è costituita di pochi elementi, tanto essenziali quanto emblematici dell’opera di Merz. Oggetti reali, e immaginazioni figurative, che hanno abitato da sempre il mondo dell’artista. Un tavolo senza angoli, cinque recipienti di vetro, uno tra questi ricolmo vino, il nettare degli dei, sacro a Dioniso, padre della tragedia, e poi tubi al neon che attraversano le carte appese alla pareti, su cui sono stati incollate sagome scure di animali dall’aspetto preistorico.
Il tavolo è composto da tre sezioni di spirale, e occupa quasi nella sua totalità la sala espositiva. I neon disegnano sul bianco della carta una serie di numeri generati dalla somma dei numeri precedenti, la celebre serie numerica individuata da Leonardo Da Pisa, detto Fibonacci. Un ordine matematico che struttura gli organismi viventi e il mondo vegetale.
Sulle pareti si susseguono profili di animali. Forme fantastiche e molto misteriose, capaci di mettere in crisi la volontà classificatoria dello spettatore. Quelle di Merz sono forme, immagini, elementi, che appartengo tanto al passato più remoto quanto al futuro, o come scriveva già nel 1999 Laura Cherubini: “forme non futuristiche né antichissime, o forse le due cose insieme”.
Veduta della mostra Mario Merz alla Galleria Christian Stein di Milano, 2022
Il tavolo è l’elemento che ci riunisce assieme in una comunità, strumento di appoggio, base rialzata a livello conviviale, utile a creare dialogo e condivisione, come fa l’arte stessa, che ci rende partecipi di un’esperienza di conoscenza sensibile e trascendenza visiva.
La presenza del vino ci ricorda la terra, generosa nel donare i suoi frutti, nonché il potere del nettare rosso della vigna, sacro agli uomini e agli dei, strumento di estasi e di una immaginazione di ordine superiore, spirituale e mantica ad un tempo, come narrano i miti e i testi dell’antica sapienza sacra. L’opera di Merz si colloca così in un luogo di confine, in continua oscillazione tra assoluto e contingenza, tra personale e sociale per ricongiungere l’esperienza dello spettatore all’eterna immanenza delle leggi cosmiche.