Al momento sono ben tre le mostre in esposizione alla Pinacoteca Agnelli di Torino: il progetto di Sylvie Fleury al terzo piano Turn me on, Pablo Picasso e Dora Maar in collaborazione con la fondazione Beyeler e la Pista 500, il nuovo progetto artistico sul tetto del palazzo.
Arriva una nuova primavera per la Pinacoteca Agnelli. Il percorso iniziato la scorsa estate con la nomina a direttrice di Sara Cosulich sta finalmente entrando nel vivo. L’obiettivo? Rendere la Pinacoteca un centro culturale per la contemporaneità in grado di far dialogare i linguaggi del presente con la storica collezione d’arte di Giovanni e Marella Agnelli.
Per farlo il Museo ha aumentato la sua superficie espositiva, annettendo la pista sul tetto del Lingotto. Così al momento sono ben tre le mostre in esposizione: il progetto di Sylvie Fleury al terzo piano Turn me on, Pablo Picasso e Dora Maar in collaborazione con la fondazione Beyeler e la Pista 500, il nuovo progetto artistico sul tetto del palazzo. I progetti espositivi sono mirati a costruire una forte identità programmatica per l’istituzione, risultato anche di un confronto con la specificità del luogo che la ospita: la storia culturale e sociale del Lingotto, il contesto produttivo di Torino, la presenza dell’archeologia industriale e il suo sviluppo architettonico.
Pablo Picasso e Dora Maar
Si parte dal quinto piano con Beyond The Collection, un inedito progetto espositivo continuativo dedicato alla rilettura e riattivazione della collezione permanente: l’istituzione parte ogni volta da un’opera diversa dello Scrigno per stabilire relazioni in grado di riflettere sulle presenze così come sulle assenze della collezione.
La mostra Pablo Picasso e Dora Maar trova la sua origine nel ritratto di Picasso Homme appuyé sur une table (1915-1916), conservato in Pinacoteca Agnelli, che in questa occasione viene messo in relazione per la prima volta con tre ritratti degli anni Trenta raffiguranti Dora Maar, provenienti dalla Fondation Beyeler. Con le tele dialogano anche una serie di fotografie di Dora Maar stessa. Fotografa, poeta e pittrice francese di origine croata, riconosciuta per i suoi collage surrealisti.
Ne scaturisce un ritratto della Maar che si distanzia dalla semplice visione di amante e musa di Picasso e favorisce invece una più attenta riflessione sull’artista stessa che viene rappresentata nella sua essenza poliedrica, in qualità di fotografa all’apice della sua carriera e importante punto di riferimento intellettuale per l’artista spagnolo.
Turn me on
Si scende di due piani e ci si ritrova catapultati in un’altra dimensione, quella immaginata dall’artista svizzera Sylvie Fleury. Composta da tante ambientazioni diverse, c’è anche la riproduzione di una grotta che Fleury concepisce come uno spazio di trasformazione del sé. “Gli immaginari pop, ironici e seducenti di Sylvie Fleury sottolineano l’importanza di guardare a figure femminili rilevanti per la storia dell’arte”.
L’artista svizzera reinterpreta oggetti, analizza gli stereotipi sessisti, con ironia li pone in discussione a favore di una loro destrutturazione e trasformazione, che invita a riconsiderare l’immaginario comune e a riflettere sul nostro sistema patriarcale. Parallelamente indaga i linguaggi tradizionali della storia dell’arte occidentale come Pop Art e il Minimalismo attraverso un’efficace critica delle loro implicazioni storiche e politiche.
Il titolo della mostra Turn me on rimanda al desiderio, un desiderio che si basa sulla nostra modernità liquida, la costante tensione verso una soddisfazione immediata e implacabile, che si collega da una parte al feticismo maschile nei confronti delle automobili e dall’altra all’oggettificazione del corpo femminile, soprattutto per quanto concerne il gergo commerciale. La denuncia di Fleury di conseguenza, si rivolge in particolar modo alle modalità in cui il consumismo produce stereotipi di genere ed è proprio partendo da questo assunto che l’artista ha prodotto anche il video Walking on Carl Andre, che incalza la riflessione sulla visione sessista della donna prodotta dalla società, con una serie di sequenze nelle quali delle donne con i tacchi camminano sopra agli Squares, le opere a pavimento che hanno reso celebre lo scultore minimalista.
La Pista 500
La Pista 500 sul tetto del Lingotto – spazio recentemente riconvertito in giardino pensile dall’architetto paesaggista Benedetto Camerana, e ora museo en plein air – è un vero e proprio giardino semisegreto che ospita più di 40.000 piante e oltre 300 specie autoctone diverse. “Con la squadra di Pinacoteca abbiamo lavorato per trasformarlo in uno spazio per l’arte, per accogliere opere pensate dagli artisti per questo particolare contesto”, aggiunge Cosulich. “Oggi i nuovi monumenti sono fatti di luce, di suono, video” e questo polmone verde irradiato dal sole si erge a monumento ecosostenibile, una sintesi dei temi cari alla Pinacoteca e un omaggio alla città di Torino. Questa prima edizione di arte sul tetto apre al pubblico con opere di sette artisti internazionali: Valie Export, Sylvie Fleury, presente anche qui con una scritta al neon, Shilpa Gupta, Louise Lawler, Mark Leckey e Cally Spooner. Quest’ultima con una poetica installazione sonora che diffonde una suite di Bach per violoncello nell’immenso spazio della Rampa Sud, facendone da cassa di risonanza.
Ancora prima di accedere alla pista troviamo l’opera dell’artista indiana Shila Gupta. Intitolata 24:00:01 è un vero e proprio “flapboard”, se non per lo scopo che differisce totalmente da ciò per cui è nato. Questo tabellone non fornisce ore e luoghi, ma invita il pubblico a riflettere attraverso la poesia e metafore ricche di volontari errori ortografici, sulle fragilità dei concetti di confine nazionale, culturale e interpersonale.
Una volta entrati nel giardino, se ci si volta verso la Pinacoteca, un’enorme scritta al neon recita Yes to All, opera di Sylvie Fleury. L’artista invita il pubblico a ragionare sulle interfacce dei nostri dispositivi, che appaiono voler facilitare l’utilizzo dei mezzi tecnologici attraverso l’accettazione immediata di “termini e condizioni” delle quali siamo ignari. Il progetto vuole essere una denuncia della nostra pigrizia e talvolta della scarsa capacità critica data proprio dalla semplicità con la quale i mezzi telematici riescono ad inculcare un’idea e in alcuni casi a manipolarla, senza permettere un reale scambio di informazioni o addirittura impedendo il ragionamento logico e fornendo dati falsi. D’altro canto la stessa frase assume una connotazione positiva, a seconda della prospettiva. Yes to All può essere un simbolo di inclusività e maggiore fruibilità, se lo si contestualizza all’interno dello spazio: per esempio, come invito a visitare il museo stesso.
L’opera Die Doppelgangerin di Valie Export rappresenta due monumentali forbici intrecciate tra loro. Il progetto è chiaramente un inno alla femminilità, una visione del corpo come metafora onnicomprensiva, un simbolo che nell’immaginario comune è associato ad attività come il cucito e la sartoria, ma che di fatto può essere anche un’arma e che racchiude e allude a quella commistione tra forza e delicatezza, eleganza e caparbietà, che sono soltanto alcune delle sfaccettate sfumature che caratterizzano in particolare la donna all’interno della contemporaneità.
La video-installazione Beneath My Feet Begin to Crumble abbraccia la curva sud della pista e ricorda gli schermi degli stadi, i jumbotron. Mark Leckey crea una mediazione tra arte e cinematografia dell’evento sportivo, trasponendo sul LED la catena della Alpi che avvolgono la città e il Lingotto e modificando le immagini in CGI per conferirvi maggiore monumentalità.
Infine la rampa sud, che storicamente era utilizzata per portare le mobili dalla zona di assemblaggio della fabbrica FIAT alla pista di collaudo, diventa un colossale teatro a cielo aperto. L’opera di Cally Spooner consiste nell’insieme di esercizi di una violoncellista che riprendono la Suite per violoncello numero 1 in sol di Bach. Quest’opera si pone in qualità di vera e propria architettura sonora, abbraccia gli ex spazi industriali e riflette sulle forme di lavoro e sulle possibili modalità che abbiamo di rifiutarle.