No, non è come i vecchi tempi. Ma ci stiamo avvicinando, forse. Circoscrivendo a eiaculazione precoce da preview i sibili di giubilo (“It’s just like the old days”) di alcuni mega galleristi durante l’anteprima (martedì e mercoledì), Art Basel è comunque tornata a pieno regime nella sua consueta finestra pre-estiva (16-19 giugno): 289 gallerie (erano 272 nell’edizione necessariamente sottotono settembrina dell’anno scorso, 290 nel 2019) da 40 Paesi, 7 sezioni, 70 installazioni di grandi dimensioni “fuori scala” nella sezione Unlimited, 20 progetti site-specific disseminati per la città nella sezione Parcours (domani, sabato, ci sarà la Parcours Night fino alle 11 di sera). Siamo in una delle settimane clou del mercato mondiale, ma l’aria non è quella piacevolmente magnetico schizofrenica del pre-pandemia. Sventolano e svolazzano le bandiere multicolore sulle rive del Reno. Sotto, si fa il bagno nel fiume appollaiati ai palloni galleggianti quando non si sguazza per le fontane pubbliche del centro storico, con vista buyers con shopper Basel. Sudati. Del resto ci sono 35 gradi costanti, e l’unico respiro di conforto è tra i padiglioni espositivi e le mostre aperte per l’occasione (su tutte segnaliamo Picasso/El Greco e Brice Marden al Kunstmuseum, Ruth Buchanan al Gegenwart, Michael Armitage alla Kunsthalle e Latifa Echakch + Zineb Sedira alla Kunsthaus, oltre alle sempiterne Vitra e Beyeler con Mondrian da capottarsi nel campi di granoturco che corrono fuori dalle vetrate di Renzo Piano). Ci si trascina felicemente a forza dalla Messeplatz, cuore pulsante della settimana dove all’ombra delle scaglie d’argento di Herzog & de Meuron gravitano Art Basel e Design Miami, alle collaterali Liste, Volta, Photobasel. La sera appuntamento fisso festante alla Kunsthalle di fronte alla folle Fontana teatrante di Tinguely, per poi perdersi nei party di collezionisti e galleristi tra rooftop e ex-dock industriali (tra gli eventi, martedì si è tenuto il concerto delle Pussy Riot per la causa Ucraina). Appunto, i famigerati collezionisti. Finalmente di ritorno dagli Stati Uniti e dall’Asia in toto, Cina esclusa. Chi può si è concesso un godibile grand tour nel cuore dell’Europa di un paio di settimane. Il giro è presto fatto: Salone del Mobile a Milano, Biennale di Venezia, Zurich Art Weekend, Basilea. Poi dritti verso Brafa, Tefaf e Masterpiece con tappa a Kassel per Documenta. A luglio Nomad a Capri e Art Montecarlo per chiudere la stagione al meglio, al mare. Latitanti i russi, come logico che sia. Il clima generale internazionale a dir poco complicato non aiuta. Anzi. Guerra, crollo della borsa e caduta verticale delle criptovalute comportano instabilità e incertezza e gravano sul volume di affari del settore. Situazione vendite infatti più tiepida rispetto ai fasti del passato. Anche se il botto di Hauser & Wirth martedì pomeriggio ha infuocato la Messe Basel: i 3 metri di bronzo dello Spider (1996) di Louise Bourgeois hanno trovato nuova casa-ragnatela per 40 milioni di dollari. 75 milioni in totale le vendite della multinazionale d’arte nel solo primo giorno di apertura. Con conseguente rinnovamento di pezzi e di stand per i giorni a seguire. Tra i capolavori offerti, magnifico il disegno del 1948 di Arshile Gorky, The Betrothal, venduto per 5 milioni e mezzo di dollari.
Non hanno ancora trovato un nuovo proprietario invece gli altri due top price della fiera: il Cy Twombly sempre da 40 milioni (Untitled) del 1955 da Gagosian e la Giovane con camicia a righe offerta da Nahmad a 35 milioni. Venduti e presto tolti dalla parete del booth i due pezzi più belli visti in questa 52esima edizione: il meraviglioso Peinture arancio-nero da oltre 2 metri di altezza di Soulages del 1961 (prezzo sui 20 milioni di dollari, prontamente rimpiazzato da un altro Soulages blu-nero da 15 milioni) da LGDR (nuova mega galleria formata dai mercanti Dominique Lévy, Brett Gorvy, Amalia Dayan e Jeanne Greenberg Rohatyn – che ha venduto anche un De Kooning anni 70 per 2,9 milioni); e il maestoso Bergerie (1961-62) di Joan Mitchell offerto da Pace e acquistato per 16,5 milioni (la galleria ha venduto anche una delle ultime produzioni di Adrian Ghenie –Self-Portrait, 1,8 milioni- e un Rauschenberg del 87 per 1,2 milioni. Sempre della Mitchell citazione per l’astrazione colante color girasole di Cheim & Read, Allo Amelie del 73, da 8 milioni. Due i Bacon -forti dell’onda della super mostra alla Royal Academy e del fresco annuncio di un’opera da record da Sotheby’s- materializzatisi tra gli stand: un Papa spettrale sempre da Nahmad (richiesta 15 milioni) e uno Studio di Ritratto da 22 milioni portato da Acquavella. Una decina di milioni in meno per le lampadine pulsanti –Untitled (Tim Hotel) del 1992- di Felix Gonzalez-Torres, scultura luminosa cuore dello stand di David Zwirner venduta per 12,5 milioni a una collezione asiatica, forte anche della mostra in corso alla Bourse de Commerce di Parigi. A una collezione statunitense invece è andata Elizabeth (1984) di Alice Neel per la cifra di 3,5 milioni.
“Lo vedi a Venezia, lo compri a Basilea”: mantra sempre valido che si riverbera per i corridoi e le pareti delle gallerie. E non solo sul fronte Biennale (da Simone Leigh a Leonor Fini, da Chiara Enzo a Jadé Fadojutimi e Paula Rego, e così via), ma anche delle mostre collaterali alla rassegna lagunare. Vedi Marlene Dumas, in esposizione a Palazzo Grassi. Vendute da Zwirner subito il primo giorno sia la tela storica del 1994 (8,5 milioni) che quella del 2013 (2,6 milioni). Ovunque la pittura figurativa, come di norma negli ultimi anni. Bellissimo lo stand di Victoria Miro, popolato di figurazione storica e contemporanea (da Maria Berrio a Celia Paul, da Chantal Joffe a Hernan Bas), oltre dieci le vendite in mezza giornata di apertura. Ricercato quello di Xavier Hufkens che ha venduto un Milton Avery (presente anche da Miro) del 62 (Bikini Bather) per 2,5 milioni. Stesso prezzo della potente installazione di Francis Alÿs ad Unlimited (presentato da Peter Kilchmann e Zwirner), una delle cose più interessanti viste nella sezione fuori scala. A seguire nella top five extra large, la torsione metallico vellutata di Kennedy Yanko (portata da Vielmetter, prodotta in residenza alla Rubell di Miami pochi mesi fa, e richiesta di 700 mila dollari); la greco-ghetto scultura black di Thomas J Price con tanto di Air Max ai piedi (Moments Contained, Hauser & Wirth) e due presenze italiane: Magazzino e Continua. La prima con Francesca Leone, autrice di Si può illuminare un cielo melmoso e nero?, una installazione a soffitto dal valore di 120 mila euro che rilegge il concetto tradizionale di dipinto. La seconda, venduta subito per 850 mila, con Isla (elegía) di Yoan Capote, ispirata a The Monk by the Sea di Caspar Friedrich. La sezione più riuscita risulta comunque Feature, spaccati storici monografici curati in maniera elegantissima. Tra le proposte migliori: Kasmin, che ha dedicato uno stand ai pannelli dipinti e alle sculture di William Copley prodotti durante il soggiorno parigino nel Dopoguerra (prezzi compresi tra 300 e 425 mila); Giorgio Morandi da Galleria d’Arte Maggiore (valori da 15 mila per le acqueforti a salire verso il milione per gli oli); Sol Lewitt da Mignoni, un allestimento coi crismi, pulito e minimale.
Nutrita la compagine italiana, che ha portato 22 gallerie tra stand e progetti dedicati. Tra queste Galleria dello Scudo di Verona, con uno stand museale che corre da un burrascoso Balla (Linee forze di mare del 1919, 1,2 milioni di euro) a uno spettacolare Tumulto del 1960 (875 mila) di Vedova, venduto. E ancora: Carla Accardi, Afro, Leoncillo, Severini, Marca-Relli. Anche Cardi ha scelto la linea tricolore, con una selezione che spazia da Agnetti a Burri e Castellani. Il tutto capeggiato da un capolavoro in ferro di Kounellis da 750 mila euro. Fa eco Tornabuoni: Accardi, De Chirico, Fontana, Pistoletto, sui quali svettano un raro Boetti bianco cesellato di massime argentee (Titoli, 6-9 milioni) e un focus dedicato a Emilio Isgrò. Menzione d’obbligo per gli stand di Raffaella Cortese, Massimo De Carlo, Invernizzi, Lia Rumma, Gió Marconi, Tucci Russo, Alfonso Artiaco e Franco Noero. “Italiani” all’estero? Un Achrome di 2 metri di Manzoni del 61 in fosforo fluorescente da Michael Werner (12 milioni di euro); il “solito” bellissimo Morandi di Karsten Greve (Natura morta, 1942) da 3,6 milioni; e l’imponente Fontana bianco (passato in Biennale) del 1966 (Concetto Spaziale, Attese, 9 milioni) di Ben Brown; poesia pura il Magnelli (Esplosione lirica) del 1918 offerto da Applicat-Prazan, esposto alla Biennale del 1950. Gli stand migliori per raffinatezza, curatela e proposta? Susan Sheenan in primis (una grazia dialettica satura di corrispondenze, da Marden a LeWitt); poi Sikkema Jenkins; Michael Werner (sfilata di materia, da Per Kirkeby a Hurvin Anderson fino a Lupertz e Leroy, un compendio di densità pittorica); Paula Cooper (dialogo geometrico spaziale tra Carl Andre e LeWitt). Fotografia? L’algido e colossale Bauhaus di Andreas Gursky del 2020 (500 mila euro) da Sprueth Magers; la Strip di Gerhard Richter del 2013 lunga esattamente 10 metri (Marian Goodman, 4,8 milioni) e lo stand seppia illuminato dalle luci elettriche parigine di Edwynn Houk, da Weston a Kertesz. Ma andiamo in fiera, calandoci tra gli stand attraverso il meglio visto in questa edizione.
Doppio Soulages – Peinture 1961 e 1956 (LGDR)
Joan Mitchell, Bergerie, 1961-62 (PACE)
Esplosione lirica di Magnelli, 1918 (APPLICAT-PRAZAN)
Tumulto di Vedova, 1960 (GALLERIA DELLO SCUDO)
Tom Wesselmann, Smoker #10, 1973 (VAN DE VEGHE)
Untitled di Cy Twombly, 1955 (GAGOSIAN)
Capolavori su carta della Hartung-Bergman Foundation, 1935-38 (PERROTIN)
Text (After Vermeer) di Eric Fischl, 2011 (SKARSTEDT)
Bauhaus di Gursky, 2020 (SPRUETH MAGERS)
Spider di Louise Bourgeois (HAUSER & WIRTH)
Balancement di Kandinsky, 1942 (NAHMAD)
Kennedy Yanko ad Unlimited, 2022 (VIELMETTER)
TOP STAND
Susan Sheenan
Le strutture elementari di Pierre Alechinsky, 1962 (LELONG)
Le strutture elementari di Alechinsky, 1962 (LELONG) – 750 mila euro
Linee forze di mare di Giacomo Balla del 1919 (GALLERIA DELLO SCUDO)
Modigliani, Giovane con camicia a righe, 1917 – 35 milioni di dollari (NAHMAD)
Jewel di Robert Cottingham del 1986 (VALLOIS)
Francis Alys
Amoako Boafo da Marianne Ibrahim
Kehinde Wiley da Sean Kelly
FEATURE Sol LeWitt da Mignoni
FEATURE William Copley da Kasmin
Felix Gonzalez-Torres da Zwirner
Titoli di Boetti (TORNABUONI)
James Rosenquist, Beach Call 5 Minutes Later, 1079 (ACQUAVELLA)
Mickalene Thomas, NUS Exotiques #1, 2022 (LGDR)
930-2 Strip di Richter del 2013 (MARIAN GOODMAN)
Da Paula Rego a Milton Avery: lo stand di Victoria Miro
Empty di Sam Gilliam del 1972 (PACE)
Kounellis (CARDI)
The Fountain di Pousette-Dart del 1960 (PACE)
Mark Tansey, Xing, 2021 (GAGOSIAN)
Lo stand di Paula Cooper
Lo stand di Michael Werner
Il Manzoni di Michael Werner
Il Fontana di Ben Brown
Doppio Boetti da Ben Brown